15-09-2008
LADYTRON
"Velocifero"
(Major Records)
Time: (54:30)
Rating : 7.5
Dopo un'attesa di circa due anni e mezzo, finalmente il quartetto anglo/bulgaro torna sul mercato con la quarta fatica sulla lunga distanza, forte dei grandi consensi di critica e pubblico riscossi col precedente "Witching Hour" e del traino garantito dalla hit "Destroy Everything You Touch". Qualcuno potrebbe maliziosamente leggere il passaggio dalla Universal alla Major Records (l'etichetta che ha prodotto l'ultima splendida fatica di IAMX, per intenderci) come una sorta di 'retrocessione commerciale', ma la realtà ci dice che la band guidata da Helen Marnie sta raccogliendo tuttora i frutti seminati negli ultimi anni, coi video ancora ben presenti sui canali mainstream come MTV. C'era molta attesa per questo ritorno, anche perché "Witching Hour", prima che un successo commerciale, era stato il disco della maturità, quello col quale la band aveva saggiamente spostato il tiro verso un sound legato non soltanto all'electropop, ma anche al rock di stampo alternativo. "Velocifero" prosegue sulle medesime coordinate, aprendo ulteriori porte ai seguaci delle sonorità più easy e radiofoniche: l'incipit spetta a "Black Cat", brano acido e cadenzato dalle sembianze bizzarre cantato in bulgaro da Mira Aroyo (l'altra donna e seconda voce del quartetto), dopodiché la miglior manifestazione del nuovo appeal commerciale dei Nostri prende corpo col singolo "Ghosts", meccanico e sensualmente groovy come oggigiorno anche Kylie Minogue sente il bisogno di essere (il tormentone "2 Hearts" lo ricorderanno tutti, immaginiamo), ma capace di conservare la freddezza tipica dei Ladytron ed imperniato sull'ossessività ad oltranza del fatidico refrain infettivo. Fra i momenti migliori del disco c'è senz'altro "I'm Not Scared", song incalzante, ritmata e solidissima che si fregia di ottimi cantati, mentre "Runaway" (il secondo singolo estratto) riporta le coordinate sonore verso un approccio più smaccatamente electro dal retrogusto ottantiano. Tuttavia i Ladytron, senza mai forzare la mano, sanno incarnare molto bene anche lo spirito più disimpegnato e leggero del pop/rock elettronico, come dimostrano momenti quali la 'civettuola' e sensuale "Season Of Illusion", l'indolente e sfrontata "Burning Up" o frangenti ancor più easy e di ampio respiro come "They Gave You A Heart, They Gave You A Name", la ben congegnata "Predict The Day", "Tomorrow" e "Versus". Il bulgaro di Mira Aroyo torna a farla da padrone in "Kletva", bizzarra cover di un brano tratto da un film per bambini del 1970 che lascia però il tempo che trova, mentre si lasciano ascoltare con piacere sia la breve cavalcata rock "The Lovers" che la ballabilissima ed incalzante "Deep Blue". Completano il quadro, come prevedibile, una produzione di altissimo livello e, soprattutto, un'abilità in fase di scrittura ed arrangiamento che pone la band (astuta nello sfruttare tutte le malizie apprese negli anni) al di sopra dei tanti 'wannabes' di quel circuito che sta in bilico tra 'alternativo' e mainstream, per un disco che, pur senza piacere quanto il suo predecessore, si lascia ascoltare volentieri, portando qualcosa della 'nostra' musica in un panorama commerciale sempre più dominato da personaggi buoni giusto per il circo.
Roberto Alessandro Filippozzi