11-02-2008
MINDLESS FAITH
"Medication For The Misinformed"
(Dependent/Masterpiece)
Time: (56:51)
Rating : 8
Giunti alla quarta prova sulla lunga distanza in 12 anni di pubblicazioni discografiche, i Mindless Faith dei fratelli Jason e Chris Sevanick tornano a tre anni esatti da quel "Momentum" che segnò il primo passo della collaborazione fra il trio di Washington e la Dependent, laddove invece la nuova fatica, come molti già sapranno, è una delle ultime uscite in programma per la celebre label tedesca. Figli della scuola capeggiata da mostri sacri quali Frontline Assembly, KMFDM, Nine Inch Nails e Skinny Puppy, i tre statunitensi sembrano finalmente aver trovato la quadratura del cerchio, dopo le già buone premesse evidenziate col precedente opus: stavolta è anzitutto la produzione a risultare estremamente più efficace, in quanto capace di mettere in evidenza l'innata potenza strumentale dei Nostri e di sottolineare al contempo quei dettagli che ne rendono avvincente il sound, le cui venature trance (di chiaro stampo Juno Reactor) assumono ora un ruolo decisamente più importante in fatto di effettiva utilità rispetto al passato. Anche le chitarre si rivelano più incisive e meglio amalgamate nel ribollente calderone sonoro generato dal trio, in quanto assai più taglienti, ruvide e solide, nonché integrate al meglio nei passaggi più squisitamente industrial-oriented. L'apertura è di quelle col botto: "Bound" è infatti un perfetto manifesto del sound odierno della band, con le sue vocals estremamente più cattive rispetto al passato (e in generale è così nell'intero album), il suo groove incalzante, il suo tessuto solidissimo, i suoi passaggi industrialoidi e quel refrain semplicemente devastante... Complici dei testi come sempre a chiaro sfondo politico-sociale, nell'album si rintracciano momenti di puro nervosismo e psicosi, come nel caso di "A Blind Spot In Every Eye", della curiosamente seducente "The Dust Of Centuries" e della 'modernista' "Darkhall", ma la varietà messa in campo dal gruppo si estende anche a frangenti più macchinosi come la rocciosa "Tell" e la 'alternative/horror' "Bullet", oppure a tracce strumentali ben riuscite come la cupa "Another Empire Falls" e l'atmosferica "The World Behind The World" (che presenta un taglio quasi da soundtrack), o ancora ad un passaggio più pacato ed avvolgente come "Red Lines". La band mette in campo le sue pregevoli varianti senza mai perdere il filo del discorso, nel contesto di un sound sufficientemente personale che non pone limiti all'evoluzione del progetto stesso, ed anche gli episodi più EBM-oriented e adatti ai club, come "I'm Pretty Much Fucked", "Down Here" e "Independence Day" (che sfodera un refrain dal taglio rock), si mescolano alla perfezione in un flusso sonoro che evidenzia la forte visione d'insieme acquisita dal trio. Un ritorno coi fiocchi, impedibile per i seguaci della scena statunitense che fu (vedi sopra) e che, grazie soprattutto a dischi come questo, continua in qualche modo ad essere.
Roberto Alessandro Filippozzi