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Room 107

28-01-2008

DER BLUTHARSCH

"The Philosopher's Stone"

Cover DER BLUTHARSCH

(WKN/Audioglobe)

Time: (55:52)

Rating : s.v.

"The Philosopher's Stone" segna per Der Blutharsch il punto di non ritorno, il cambiamento definitivo. Se già con il precedente "When Did Wonderland End?" (2005) le nuove direttive rock di Albin Julius erano evidenti, ora non abbiamo più nemmeno la speranza di un ritorno al passato. Con tutto il rispetto che posso avere per le scelte artistiche di un autore, penso che quando si mantiene un nome (Der Blutharsch, nella fattispecie) che ha fatto la storia di una corrente musicale, oltre ad avere il coraggio e la forza di cambiare genere, homepage del sito ed altre minime cose, ci vorrebbe soprattutto l'onestà di cambiare proprio il nome. Der Blutharsch è stato per anni garanzia di un modo particolare di intendere la musica e di costruire i brani: ora non lo sarà più, nonostante vedremo ancora album e singoli che porteranno quel nome scritto in gotico. Le uniformi cambiano (sembra piuttosto che siano state riposte nell'armadio) e il rock'n'roll rimane. Rimangono soprattutto chitarre, basso e percussioni a comporre un disco fiacco e stanco se paragonato a quanto fatto prima, svilito di quella aggressività e intensità a cui eravamo abituati. Ma in assoluto, "The Philosopher's Stone" è un discreto album rock. Attenzione, non neofolk! Chiamatelo rock sperimentale, art rock o non so in che altro modo. Un album realizzato anche con gusto personale, ma sempre con quelle malnate chitarre elettriche e quel basso in sovrimpressione. Certo, le tracce sono un po' ripetitive, ma alla fine ascoltabili; la formazione è buona, composta da Jörg B. (Graumahd), Bain Wolfkind, Marthynna e gli special guest Matt Howden e Christine K. Tutto sembra essere organizzato bene, ma guai a guardarsi indietro, mai fare l'errore di ricordare il passato. Personalmente mi chiedo: chi comprerebbe un CD del genere se non ci fosse scritto sopra Der Blutharsch? I seguaci e i fans sono quelli di sempre, ma dovrebbero essere altri. La carriera di Albin dovrebbe ricominciare da zero e ricrearsi un pubblico adatto ai nuovi suoni, perché questi odierni sono lontani anni luce da ciò ascolterebbe un appassionato di grey/brown area. È andata perduta la vena guerresca, l'oscurità, le atmosfere, il sound sintetico misto a filastrocche e campionamenti d'epoca, ma - come dice Albin - "rock'n'roll will stay forever". Se riuscite a farvi una ragione del fatto che Der Blutharsch non è più quello di prima, posseduto ora dallo spirito di qualche rocker degli anni '60, provate a comprare questo disco: forse lo troverete interessante. Se per voi Der Blutharsch rimane l'autore di "Der Sieg Des Lichtes Ist Des Lebens Heil!", sappiate che la sua carriera è finita ai tempi di "Time Is Thee Enemy!": ora si dedica ad altro, e non ha più nulla a che vedere con quel che abbiamo amato per anni. Per me tutto ciò è una triste realtà. Altri riusciranno ad apprezzare il cambiamento... La ragione per cui non campeggia un voto in cima a questo articolo risiede nel fatto che rimango troppo legato a quanto prodotto da Albin Julius in passato (sin dai tempi dei The Moon Lay Hidden Beneath A Cloud) e avrei assegnato un voto decisamente basso, deluso da una parabola troppo discendente. D'altro canto non mi trovo in accordo con la frase "rock'n'roll will stay forever", cui aggiungerei "but not for me, not for me": trovo che il rock nelle sue varie sfaccettature sia uno stile alquanto desueto in assoluto, e altrettanto in assoluto non ho amato "The Philosopher's Stone". Ma questi sono umori personali, per cui preferisco presentare l'album astenendomi dal rating.

Michele Viali

 

http://www.derblutharsch.com/

http://www.myspace.com/derblutharsch