06-05-2019
ANNI HOGAN
"Lost In Blue"
(Cold Spring)
Time: CD (50:37)
Rating : 7.5
Se per le varie collaborazioni fissate su supporto discografico Anni Hogan ha spaziato fra diverse etichette, quando si tratta degli album firmati in prima persona, la poliedrica artista inglese - storica spalla di Marc Almond nei dorati 80s - torna sempre all'ovile di quella Cold Spring che già dieci anni fa pubblicò l'eclettico "Kickabye", e che due anni dopo rilasciò il più tenue "Mountain". L'aspetto collaborativo si estende tuttavia anche ai dischi firmati in solitaria dalla Hogan, poiché anche questi non sarebbero stati possibili senza il prezioso ausilio di tutta una schiera di ospiti, che anche per "Lost In Blue" - racchiuso in un magnifico ecopack a sei pannelli completo di booklet - sono accorsi in buon numero, e fra loro spiccano dietro al microfono nomi quali Lydia Lunch, Wolfgang Flür (ex-Kraftwerk), Gavin Friday (ex-Virgin Prunes), Richard Strange (Doctors Of Madness), Kid Congo Powers (The Gun Club, ex-The Cramps e Nick Cave & The Bad Seeds) etc., mentre in cabina di regia troviamo i produttori Dave Ball (Soft Cell) e Riccardo Mulhall. Un altisonante team di artisti che di volta in volta accompagnano la Nostra - impegnata principalmente al piano - nelle undici composizioni del nuovo album, sia per quanto riguarda le parti vocali, sia per l'apporto strumentale (principalmente archi e fiati). Inevitabilmente imperniato sui tasti d'avorio, "Lost In Blue" è un lavoro che vive di pulsioni prevalentemente notturne in bilico tra dark cabaret, vaudeville, jazz e toni da crooner, a prima vista equidistante dai generi normalmente trattati su queste pagine, eppure carico di un fascino al quale è arduo resistere. Tolti quei frangenti in cui è Anni a prestare la voce (la dolce ed etnica carezza d'archi "Lost Somewhere", l'intima e più fascinosa "Thunderstruck"), quella che anima le tracce dell'album è una vocalità in cui prevale un forte istrionismo, sia quando si tratta di veri e propri cantati (la suadente "My Career", la jazzata "Death Bed Diva", la nervosa "Making Blackpool Rock" e i due momenti conclusivi, ossia "Angels Of Romance" e la title-track), sia quando vengono impiegate le spoken words (la malinconica "Silk Paper", la notturna "Ghosts Of Soho", la più calda "Golden Light"), con l'apice rappresentato dalla bella prova della veterana Lydia Lunch nella dolente "Blue Contempt". Tante gustose sfumature garantite sia dalla classe e dall'esperienza dei nomi coinvolti, sia dalla professionalità del team tecnico, per un lavoro di alta caratura e con tutti i numeri necessari per sedurre chiunque disponga di sensibilità verso l'arte musicale.
Roberto Alessandro Filippozzi