13-04-2019
BONNIE LI
"Wo Men"
(Icons Creating Evil Art)
Time: CD (36:56)
Rating : 8
"Da Hong Kong a Parigi a Berlino" si legge fra le note biografiche della singer Bonnie Li, francese d'origine ma cresciuta in Cina, ed infine spostatasi in quel di Berlino per seguitare a crescere sul piano artistico e professionale. Attiva dal 2009, Bonnie dà la svolta decisiva al proprio trip-hop a tinte dark grazie all'incontro con Elia M, che dal 2013 la accompagna sia in studio che dal vivo. Dopo una manciata di release minori, la chanteuse poliglotta approda al sospirato debut album, traguardo tanto importante quanto assolutamente meritato per un'artista dalla vocalità così versatile, istrionica e dall'ampio potenziale. Se il progetto ruota attorno alle indiscutibili abilità vocali della Nostra (anche tastierista, laddove Elia si occupa di basso e chitarra), non vanno però sottovalutate le prerogative strumentali dei brani, che prendono sì le mosse da stilemi trip-hop dai tratti minimali, ma che sanno attingere ad un'elettronica dark-pop solida e ad ampio raggio, particolarmente affine a chi si diletta con le sonorità sintetiche a tinte scure, come dimostra da subito una "Particular Complexions" che unisce una malinconica mestizia ad evoluzioni capaci di alzare con stile il livello dell'intensità. Se "Stars Fall Down" mette in chiaro come il groove sia importante nelle dinamiche della Li, i ritmi macchinosi di "Lost Case" testimoniano di come fascino ed eleganza permeino anche i passaggi meno "morbidi", mentre il singolo "I Want You To Die" gioca su equivoci noir sfoderando un refrain di estrema dolcezza, ribadendo la centralità della Diva e del suo seducente canto. Fra i momenti migliori di un disco riuscito e di rara completezza vi è senza dubbio la title-track, particolarmente istrionica a livello vocale e dotata di un beatwork solido e incalzante con graditi echi dubstep, mentre il trip-hop vero e proprio torna protagonista sia con la piano-based "Black & White" che con l'appassionato singolo "Décroche". L'apporto della chitarra trasmette la giusta ruvidità sia nella più acida "Hey Man", finanche minacciosa nei ritmi, che nell'eclettica "Don't Worry", nella quale l'ospite Al'Tarba si produce in un break vocale in puro stile hip-hop, decisamente funzionale alla causa di uno dei momenti più duri del disco; si chiude con la dirompente sensualità di "Sweet Tongue", con Bonnie quanto mai vicina ad una musa ispiratrice del calibro di Tori Amos. Il segreto dietro alla piena riuscita di un album così ben congegnato, oltre all'estrema professionalità delle parti in causa e ad un apporto strumentale che non si ferma al mero accompagnamento (né lesina sulla qualità dei suoni, che senza questa concretezza avrebbero prodotto ben altro risultato e per i quali va reso pieno merito al tandem produttivo/tecnico formato da Paolo Pizzuto e Vitaliano Zurlo), sta proprio in un'estrema versatilità che è l'ideale crocevia tra la già citata Tori Amos, quel punto fermo del trip-hop che sono i Portishead, una perla dimenticata come i Tactile Gemma e la ricercatezza strutturale della miglior IDM, senza che il risultato finale manchi mai di personalità, compattezza e del necessario filo logico. Più che abbastanza per promuovere a pieni voti questo notevole esordio e per individuare in Bonnie Li - assieme alla collega Ekat Bork - uno dei nomi su cui puntare per il futuro dell'elettronica al femminile.
Roberto Alessandro Filippozzi