09-03-2019
DER BLUTHARSCH AND THE INFINITE CHURCH OF THE LEADING HAND
"Wish I Weren't Here"
(WKN)
Time: CD (40:40)
Rating : 7
Al netto delle release collaborative e/o minori, "Wish I Weren't Here" è il successore del ben accolto "What Makes You Pray", penultimo album per Albin Julius e soci rilasciato il 31 ottobre del 2017. La formula della seconda stagione artistica di DB e della sua "chiesa" è quella che abbiamo ormai imparato a conoscere in particolar modo dal 2011, quando il cambio di rotta - già attuato dal 2005 - è stato definitivamente ufficializzato con l'allungamento del monicker e le cose hanno preso una piega lisergica ben definita, e quest'ultima fatica - che uscirà anche in due versioni in vinile, oltre a quella in CD - non esce dal solco tracciato da Albin e dai suoi fidati sodali (cui si unisce all'uopo qualche ospite, fra cui il violinista britannico Matt Howden, anche stavolta presente). Se musicalmente le coordinate restano quelle di un (kraut)rock vibrante e psichedelico dai contorni sempre più psicoattivi (non a caso, nelle note interne si consiglia l'ascolto in stati "chimicamente squilibrati" per godere appieno dell'opera), a livello canoro è ormai Marthynna la protagonista assoluta, sempre più a proprio agio nell'officiare le cerimonie, pur con quei limiti vocali che vengono evidenziati a tratti sia nell'acida opener dalle lente movenze "Evil" che nella più propriamente rock "Make Me See The Light" o nella psichedelica "My Soul Rests Low". Il suono, a partire dalla produzione, continua ad evocare quel periodo a cavallo fra i 60s ed i 70s in cui le droghe, e in particolare l'LSD, erano usate non soltanto a scopo ricreativo, ma anche come mezzo con cui far viaggiare la mente alla ricerca di illuminazioni da riversare sul piano artistico, e sebbene Marthynna non sia certo la nuova Grace Slick, i Nostri riescono sempre nell'intento di far rivivere quel periodo con la credibilità di chi ormai si è pienamente calato nella parte, certi di non voler tornare indietro. Non mancano gli spunti più propriamente krautrock, ben evidenziati dalla tensione sprigionata da "All One" e soprattutto dalla più austera title-track, ma il vero picco dell'opera è rappresentato dall'ipnotico magnetismo di "Just Because I Can"; la chiusa spinge verso il rock, possente ed imperioso in "Forgotten" quanto solido in "He Is Here", mentre la conclusiva "O Lord" mira a traslare la propria intensità in una chiave più affine a certe derive stoner. Ormai DB e la sua "chiesa" psicoattiva sono questo, e non certo da ieri, quindi è bene valutare serenamente gli sforzi odierni del combo austriaco, scorporandoli dal passato e riconoscendo ad Albin e soci di essere riusciti a reinventarsi con buoni risultati, anche stavolta.
Roberto Alessandro Filippozzi
http://www.derblutharschandtheinfinitechurchoftheleadinghand.com/
https://derblutharsch.bandcamp.com/