08-10-2016
PLEXIPHONES
"Electric"
(Big Sky Song/Echozone)
Time: CD (51:38)
Rating : 7.5
Cosa sia diventato il mondo della musica pop nel corso delle ultime decadi, e specialmente nel terzo millennio, è sotto gli occhi di tutti: uno squallido teatrino dove lo strapotere delle major impone nomi creati a tavolino, basando tutto sull'estetica e sul martellamento psicologico compiuto attraverso la totale occupazione dei canali di diffusione musicale. A parte una ristretta manciata di nomi, non si trova più un'oncia di reale qualità neanche a cercarla col lanternino, e se a ciò si unisce l'ignavia di intere generazioni prive della cultura e della spinta emotiva necessarie per indagare l'immensità dell'offerta musicale disponibile con un semplice 'click', il quadro non può che essere disastroso. Ma chi ha qualche anno in più di certo ricorderà che, per quanto di meteore commerciali senza sostanza ve ne siano sempre state, negli anni '80 il pop era tutt'altra cosa: gruppi veri, capaci di scriversi le canzoni, artisticamente abili sia in studio che dal vivo, e in molti casi decisamente talentuosi. È a quel magico periodo che i tedeschi Plexiphones, al secondo album dopo "News From The Colonies" del 2011, guardano con rispetto e devozione, ispirandosi più o meno direttamente a nomi come Simple Minds, Killing Joke, The Alarm, Big Country etc., per una formula tutt'altro che anacronistica o spudoratamente derivativa. Un suono che lo stesso sestetto, composto da gente d'esperienza (e non più di primo pelo, a quanto si evince dalle foto) e supportato da un team tecnico di alto livello, ama definire 'electro-rock' (anche se la strumentazione è quella classica della rock band con tastiere), capace di dar vita a canzoni tutte potenzialmente spendibili come ideali singoli. I brani, sempre pronti a sfociare in ottimi refrain grazie alle buone capacità del singer Wolfgang Kemmerling, evidenziano una lavorazione certosina in fase di arrangiamento, rifuggendo ogni tipo di banalità o eccessivi ammiccamenti che risulterebbero sgraditi ad un pubblico comunque legato al settore alternativo. Forse mancano quelle grandi e immediate connotazioni melodiche dei nomi che hanno fatto la storia del pop ottantiano (Depeche Mode, Tears For Fears, Alphaville...), ma già l'opener "40 Days", primo singolo estratto, la dice lunga sulla qualità messa in campo dai Nostri: pop-wave di gran classe, intenso e mirabilmente rifinito, impeccabile per esecuzione e produzione. Non manca la giusta dose di groove, evidente soprattutto in quei frangenti più affini alla definizione 'electro-rock' ("Take Me, Break Me", "Tell It With Your Heart", "We Are Repeating"), così come non difetta una sana energia di stampo rock ("Broken Man" e "Love Child", quest'ultima ripresa dall'EP "The London Tapes" assieme agli altri tre brani che componevano tale uscita), ma il picco emozionale dell'opera è senza dubbio "Slow Down", forte di un pathos interpretativo che non può lasciare indifferenti, mentre l'accattivante "Wave Me Goodbye" si segnala come l'episodio più catchy fra tutti, senza comunque mai sconfinare nella ruffianeria. Non lasciatevi fuorviare: nonostante l'approccio 'pop', il combo teutonico ha tutto quel che serve per mettere d'accordo sia chi ha amato la musica commerciale degli 80s, sia chi semplicemente cerca reale qualità nel songwriting, indipendentemente da un background personale di stampo rock, wave o electro.
Roberto Alessandro Filippozzi