01-09-2007
RECOIL
"subHuman"
(Mute)
Time: (61:19)
Rating : 7
Non c'è che dire: Alan Wilder, che come (quasi) tutti già sapranno ha militato nei Depeche Mode dall'82 al '95 (fondando il progetto Recoil nell'86), si è preso una pausa considerevole prima di tornare sulle scene, dal momento che il precedente ed ottimo "Liquid" usciva ben sette anni or sono... D'altronde stiamo parlando di una discografia che conta all'attivo solamente cinque full-length in 21 anni di esistenza, paradossalmente meno rarefatta proprio nel periodo in cui l'artista inglese si rendeva ancora complice dei più significativi capolavori firmati assieme ai Depeche Mode... In sette anni ne succedono di cose, e nel prosieguo del proprio cammino artistico Mr. Wilder si è imbattuto in due nomi che ai lettori non diranno pressoché nulla, benché si tratti di artisti con una notevole esperienza alle spalle: stiamo parlando dell'americano Joe Richardson e dell'inglese Carla Trevaskis, ovvero le due voci selezionate per le parti cantate della nuova opera a firma Recoil. Nessuna novità dal punto di vista formale: Alan, produttore ed arrangiatore di altissimo rango e di infinita esperienza, si è sempre dovuto avvalere di altri musicisti (sul nuovo album troviamo infatti il batterista Richard Lamm, il bassista John Wolfe ed il binomio viola/violino curato da Hepzibah Sessa, quest'ultima ormai da tempo collaboratrice di Recoil), ed in particolar modo di cantanti (in passato figurarono tra le voci prescelte anche quelle di Douglas McCarthy e Diamanda Galás), e stavolta la scelta è ricaduta su nomi meno noti al grande pubblico. Ci soffermiamo sulle voci designate perché se da un lato la performance di Carla Trevaskis difficilmente scontenterà qualcuno, d'altro canto non sarà facile digerire le prestazioni vocali di Joe Richardson, bluesman affermato al quale è affidata la stragrande maggioranza dei cantati nell'album, oltre ad un suo ulteriore apporto strumentale a base di suoni di chitarra ed armonica che più blues di così non si potrebbe... Ebbene sì: "subHuman" è un lavoro che, pur poggiando sulla corposa ed avvolgente elettronica di Mr. Wilder, si tinge eccessivamente di blues, e sebbene Alan si riveli assai abile nel mescolare il proprio dna sintetico con la materia organica che domina l'album, tale vena artistica emerge sin troppo prepotentemente dalle canzoni del disco. Va da sé che, se il blues non è decisamente il vostro genere, faticherete non poco a digerire episodi come il singolo "Prey", la sguaiata ed eclettica "5000 Years" (curiosamente scandita da rulli marziali), la più avvolgente "The Killing Ground", una "99 To Life" dai tratti vagamente rock e la pachidermica "Backslider"... Intendiamoci: Wilder resta un maestro nell'assemblaggio e nella creazione musicale, nonché uno fra i pochi artisti capaci di esprimere ancora qualcosa di realmente interessante, e sicuramente nessuno avrebbe ormai più il coraggio di pretendere da lui un ritorno al pop sintetico dei giorni gloriosi coi Depeche Mode, ma una scelta di fondo come quella operata per "subHuman" difficilmente potrà aggradare chi di blues non si diletta realmente, senza bisogno di iniziare a blaterare di 'post-blues' o amenità simili... Di contro, le tracce realizzate con l'apporto vocale di Carla Trevaskis risultano eccellenti: "Allelujah" è trip-hop etereo, cupo e sfuggente che si muove in maniera più sinuosa che mai tra vocalizzi estremamente suggestivi, mentre "Intruders", complice la presenza (anche qui!) del 'buon' Joe, evidenzia anche accenti blues, ma denota un incedere mastodontico a dir poco avvolgente. Lo ripetiamo: lungi da noi mettere in discussione Wilder sul piano artistico, creativo e compositivo, anche perché "subHuman" conserva in ogni caso un suo perché, ma questa 'parentesi blues' difficilmente riuscirà ad attecchire presso quei fans che di Recoil hanno amato soprattutto i lavori passati. Speriamo, appunto, che di parentesi si tratti...
Roberto Alessandro Filippozzi