01-07-2015
GORE TECH
"Futurphobia"
(Ad Noiseam)
Time: (50:09)
Rating : 7.5
Nativo di Manchester ma residente a Berlino, George Flett si è fatto le ossa sin dal 2004, giungendo solo in anni più recenti (2012-14) a realizzare una manciata di EP, per lo più in collaborazione con altri nomi della scena breakcore e affini. Il passo decisivo avviene nel 2013 con l'esordio per la Ad Noiseam rappresentato dall'EP - in vinile 12" e in digitale - "Machine Throne", con tre dei quattro brani destinati a finire anche su questo atteso esordio sulla lunga distanza, sempre sotto l'egida della label berlinese. Confezionato in un bel digifile a sei pannelli, il CD consta di undici brani (la versione in vinile include solo i sei totalmente inediti), fra i quali, oltre ai tre del succitato EP, figura anche il pezzo realizzato con Machinecode nello stimolante progetto "Stems", sorta di album aperto e collaborativo uscito solo in digitale. Dopo l'introduzione di rito (un reading dal "Neuromancer" ad opera di William Gibson su riverberi minacciosi), George 'scalda le macchine' dapprima col tribal noise in salsa mediorientale "The Zerofinity Event", per poi infondere groove con la scattante e moderna breakbeat di "Optical Hybrid". Il trittico ripreso da "Machine Throne" (la nervosa "The Ghost Particle", la concitata "The Plague Of Zion" e la poderosa e muscolare "Dubwar") sposta le coordinate verso la vera e propria breakcore, deflagrante ed impressionante nell'incastro di ritmi e campioni, padroneggiata con mano sapiente dal Nostro. Ma questa esplosione di durezza e tensione pare quasi una parentesi, tant'è che alla disturbante "Hex Spectrum", spigolosa e noisy, seguono tracce particolarmente scure come "Organica", più lineare e suadente, e "Mechanica", intensamente serpeggiante; sulla stessa spiazzante linea "In Exilium", le cui trame ossessive e distorte porgono il fianco ad una struttura para-sinfonica legata a doppio filo al groove, mentre un forte vigore sia ritmico che melodico anima la conclusiva e già nota traccia realizzata assieme a Machinecode. Non dunque un lavoro di devastante breakcore dall'inizio alla fine, come forse poteva aspettarsi chi si è appassionato alle sorti di Gore Tech con "Machine Throne": George ha preferito ampliare i propri orizzonti in un lavoro più completo e vario, ottenendo risultati che non lasceranno indifferenti gli ascoltatori più open-minded, anche se verosimilmente sarà solo il prossimo full-length a dirci quale direzione egli intenderà davvero prendere.
Roberto Alessandro Filippozzi