31-03-2015
OTHILA
"Brónagh"
(ODS)
Time: (48:49)
Rating : 8
Un ritorno davvero in grande stile per il duo francese, che completa la trilogia celtica (iniziata col 10" del 2003 "Yula" e portata avanti solo a fine 2012 col 7" di rientro "Titouan", che ha interrotto un silenzio di circa sei anni) con un nuovo full-length - il terzo di una carriera iniziata agli albori del nuovo millennio - racchiuso in un pregiato box realizzato in 300 esemplari, comprendente anche quattro inserti e, soprattutto, un libro di ben 60 pagine che include sei novelle, scritte in lingua madre da Lionel G. ed illustrate da una serie di bravi artisti. Ovviamente è necessario conoscere bene il francese per godere appieno del supporto narrativo rappresentato dal libro incluso, mentre per quanto concerne la parte squisitamente musicale, "Brónagh" si presenta senza alcun dubbio come l'opera più ricca mai creata da Lionel G. e John Doe, coadiuvati per l'occasione da una serie di ospiti alle prese con arpa celtica, voci, flauto e violino. L'impiego di una strumentazione più ampia sposta le coordinate etno-ambient tanto care al duo parigino verso un intreccio elettroacustico decisamente più intenso e carico di sfaccettature sinfoniche, memore in più occasioni della creatività avvolgente di un maestro del violino come Matt Howden (ne sia massimo esempio lo svolgimento della title-track). Un'opera ancor più melodiosa, come nel morbido intreccio di "Krahen" (coi bei vocalizzi femminili a supporto) o nel dolce frangente d'arpa "'Lhyz", ma capace di muoversi in più direzioni senza perdere il filo del discorso, dal tonante drumming di una "La Forêt Du Destin" che si colora di fascino orientale alle sostenute danze sui rulli marziali di "Roth An Diabhail", passando per l'intensissimo finale tribaleggiante di "La Forêt De Pierres". Non manca quel tocco d'oscurità che non guasta, come nel teso finale dell'opener "Dernier Combat" o nell'incedere sontuoso e marziale di "Yula [2013]", ma nonostante il carattere decisamente più organico rispetto al passato, i Nostri danno il meglio di sé nella più elettronica "Louve", giocata su di un ottimo groove magnetico fra toni etnici e splendide melodie di flauto. Un ritorno ispirato e ricco di spunti che chiude nel migliore dei modi la suddetta trilogia, lasciando solo certezze circa lo stato di salute di questo notevole act transalpino.
Roberto Alessandro Filippozzi
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