22-05-2014
UNDERHILL
"Prologue"
(Ad Noiseam)
Time: (45:42)
Rating : 8
Due anni dopo il sorprendente ed entusiasmante debut "Silent Siren" torna il collettivo Underhill, o meglio, torna la sigla sotto la quale si riuniscono artisti del calibro di Martina Astner (Therion, Dreams Of Sanity, Alas e Korova), Marvin Hay (cantante hip-hop noto come MC Coppa), Tim Elliot (Current Value, Machine Code), Ivan Shopov (Cooh, Balkansky) e Dean Rodell (Machine Code), ma nel caso specifico in formazione ridotta. Sono infatti i soli Rodell e Shopov gli autori di questa particolare uscita che precede un nuovo album come full band, peraltro con la dichiarata intenzione di cimentarsi con sonorità più calme ed atmosferiche, e quindi non deve sorprendere la pressoché totale diversità rispetto al debut, non soltanto per la mancanza di parti vocali. Nessuna inflessione hip-hop o trip-hop dunque, ed anche certa possanza dubstep cede il passo ad un sound sempre in odore di dub, ma più incline alla downtempo nel suo intimo intreccio glitch-acustico dove prevale l'armonia, sferzata solo dalle incursioni ritmiche più intricate. Sono movenze lente quelle della notturna opener "All That Glitters" e della più macchinosa e penetrante "Happier", così come scorre placida anche "Folded", prima di un finale con un bel crescendo e ritmiche intricate. La capacità del duo nel dipingere col suono scenari carichi di significati ed emozioni viene esaltata da una produzione superlativa che permette di gustare al meglio dettagli di estremo pregio e la ricchezza degli arrangiamenti, che si tratti della dolce e melodica "The Land Of Grey" (comunque dotata di un ritmo acido) piuttosto che della ruvidità dubstep di "Thousand Yard Stare". La title-track, realizzata assieme all'act dark ambient Mytrip, inebria coi suoi magnifici toni ambientali, laddove "Two Keys Black" è il miglior sunto delle peculiarità dell'opera, fra glitch e rumori elettronici, IDM, ritmi simil-etnici, melodia e pathos; chiude "Please Specify", sorta di viaggio nel cosmo senza ritorno alla "2001: Odissea Nello Spazio" fra ansie siderali ed asprezza ritmica, ad ulteriore testimonianza di come il sound trovi in un'intrinseca oscurità il comune denominatore dei vari brani. Lontana dai club e rivolta indiscutibilmente all'ascolto privato, la nuova fatica degli Underhill poteva magari uscire sotto una sigla differente per la sua natura particolare, ma sulla sua qualità non si discute, e chi anela ad ascolti rilassati ma di assoluto spessore farà bene a prenderla in seria considerazione.
Roberto Alessandro Filippozzi