18-06-2011
ANDREAS GROSS
"Autumn Inventors"
(Echozone/Masterpiece)
Time: (58:25)
Rating : 5.5
Registrare in dieci anni di attività qualcosa come nove album (incluse le due autoproduzioni della primissima ora) ed un EP significa viaggiare a ritmi elevati, ed è il caso della band tedesca, la cui line-up tocca ora quota sette elementi. Una simile presenza sul mercato deve necessariamente viaggiare di pari passo con un songwriting capace di rinnovarsi e di compiere, volta dopo volta, concreti passi in avanti all'interno di una concreta parabola evolutiva del suono, e sia il precedente full-length "We Like Ghost Girls" che il tutto sommato recente EP "Stone Thrower" avevano remato nella direzione giusta, pur senza strabiliare. Segnali positivi che non sembravano preludere al capolavoro, ma che lasciavano buone speranze affinché la prossima prova segnasse una reale svolta nella carriera della band del tastierista/pianista Andreas Gross. Sempre in bilico tra trip-hop, darkwave, shoegaze e dream-pop, il sound del nuovo album tiene fede alle atmosfere notturne e autunnali care al combo, ma nel farlo si appiattisce su di una formula ripetitiva ed a tratti irrimediabilmente statica. Di per sé il suono del disco è inappuntabile e perfettamente aderente agli scenari che i Nostri intendono evocare, così come sulla carta un timbro vocale algido e dimesso qual è quello di Tabitha Anders risulta ideale, ma la delicata semplicità delle linee melodiche fa perno su arrangiamenti eccessivamente minimali e la frontlady si autocompiace sino allo sfinimento, mantenendo lo stesso - mestamente cantilenoso - registro vocale per tutta la durata dell'opera (eccezion fatta per le vocals più dolci di "Heart Parasite", ma le due Schneider - Swenja e Jannika - vengono accreditate come vocalist, ed anche se il booklet non offre informazioni al riguardo, è facile presumere che nel caso specifico si tratti di una di loro). La monodirezionalità delle nuove canzoni preoccupa e sottolinea impietosamente la reiterazione di una formula che pare quasi chiudersi a qualsivoglia concetto evolutivo, ed alla fine gli unici momenti davvero degni di menzione sono la suadente "Ahasver", una "Black String Girl" dalla costruzione più intrigante e la già nota "1847" (apprezzata sul precedente EP, dal quale viene anche ripreso lo strumentale "At The Edge", impietosamente più adatto al suo contesto originario che non qui); completano il quadro quattro tracce dei precedenti lavori (tre di esse dal penultimo album) catturate dal vivo, tutte ben interpretate e registrate, ma si tratta di 'extra' che potranno far gola solo ai seguaci più incalliti del seven-piece. Un passo falso al quale Andreas ed accoliti dovranno porre rimedio: per loro è giunto il momento di una drastica rivalutazione dell'intero processo compositivo.
Roberto Alessandro Filippozzi
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