04-06-2011
DUST OF EVERYDAY
"Dust Of Everyday"
(Echozone/Masterpiece)
Time: (42:19)
Rating : 5
Durante l'ultimo anno, la Echozone sembra aver moltiplicato le proprie produzioni a dismisura. Di conseguenza, viene naturale chiedersi quale politica stia adottando e quanta qualità possa ancora garantirci: se infatti è appurato che la label tedesca riesca con costanza a scovare interessanti progetti tra i meandri dell'underground, non si può trascurare il fatto che ultimamente abbia inserito nel calderone una moltitudine di release che non merita la minima attenzione e che non fa altro che rimpinguare una quantità decisamente anonima. I tedeschi Dust Of Everyday fanno purtroppo parte di questa seconda categoria. Giungono al debutto dopo anni di prove, cambi di formazione e progetti paralleli, ma in questo caso il tempo trascorso non sembra aver dato buon consiglio: il gruppo appare immaturo e inesperto, senza personalità, e una simile mancanza di idee è giustificata con l'asserzione, già sentita migliaia di volte, che le diverse influenze dei membri della band abbiano generato una miscela del tutto originale, che loro stessi definiscono come un ibrido di dark-rock-pop-metal-wave. Orgogliosi di non poter essere etichettati in alcun genere, come amano sottolineare, purtroppo non hanno tenuto in considerazione che una pluralità di influenze non sempre è sinonimo di originalità, ma alle volte denota una semplice assenza d'identità. E questo è purtroppo ciò che si evince dall'ascolto di "Dust Of Everyday", un insieme di schemi già presenti in diversi generi, semplicemente mischiati senza grossi problemi. Strofe acustiche che sanno di ballate folk in stile americano, che si mescolano a refrain propri del gothic metal easy-listening, con sprazzi di hard rock classico che sfruttano il buon vecchio assolo di chitarra per donare pathos a brani che risentono di una scarsa vena creativa. I primi due brani, "Tomorrow" e "Afraid To Breathe", che ripercorrono le sonorità degli Him e dei Paradise Lost più soft, denotano un buon impatto nella melodia e nella potenza sonora, ma già dalla terza traccia si entra in una fase discendente: "Rock'N'Roll Moon" inizia con fraseggi wave, per poi incastrarsi in un ritornello dai toni fieri e pomposi in linea con i fasti hard rock anni '80 (tanto che viene ripetuto fino alla nausea, per un attimo anche con tanto di coro solenne accompagnato dal solo battito della grancassa, in pieno stile Spinal Tap...). "Walking Away" è invece la classica ballata americana, che parte con la chitarra acustica e sfocia nella rabbia malinconica del refrain distorto e con voce graffiante (che però il buon Masi Kriegs ci potrebbe anche risparmiare, tanto palesa la sua forzatura). "Stranded", di per sé, potrebbe essere un buon brano: evocativo e romantico grazie anche al vellutato timbro della 'guest female voice' di Nadine Kriegs; peccato che rappresenti la fiera del plagio in una strofa dove la melodia vocale è identica a quella di "Dream On" dei Depeche Mode, mentre la chitarra in sottofondo ricorda moltissimo i fraseggi di "Run Like Hell" dei Pink Floyd. Ciò che rimane da apprezzare, da qui alla fine dell'album, sono i refrain di "Seven Sins" e "Requiem". I testi, piuttosto scontati e infantili, sono un altro punto a sfavore della band di Colonia. In sostanza nulla di memorabile, nulla di nuovo o di originale: un disco che rischia di non fare la gioia di nessuno, né dell'amante del gothic rock, né di quello più propriamente pop, né del nostalgico dell'hard rock, né di chiunque insegua sonorità alternative. Peccato, perché la produzione è ottima e qualche buon ritornello qua e là lo si trova, e la Echozone è comunque sinonimo di visibilità per chi ha l'onore di farne parte; ma se non ci sono personalità e creatività, la strada si fa sempre più in salita...
Silvio Oreste
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