05-03-2011
SKY BURIAL
"Kiehtan"
(Lens Records)
Time: (47:52)
Rating : 7
Capita, a volte, che nel nome di un gruppo o di un progetto, o anche nello pseudonimo di un artista, vi sia l'indicazione di quello che si trova nella sua musica. Lo 'sky burial' è una pratica di sepoltura tibetana in cui i cadaveri vengono lasciati all'aria aperta per fare da pasto agli avvoltoi, tappa intermedia del ciclo vita-morte-vita, fisicizzazione estrema del concetto di reincarnazione spirituale e, allo stesso tempo, negazione della fisicità a favore del puro spirito, dove la materia morta diventa cibo per l'essere vivente che ne carpisce in qualche modo l'essenza. In questo complesso plot esoterico-filosofico, l'americano Michael Page si ritaglia uno spazio che rifugge le traiettorie sonore power electronics a lui consuete con Fire In The Head, approdando ad atmosfere ambient con venature dark intimiste e meditative, di forte impatto sull'ascoltatore. È anche interessante il fatto che il titolo di questo disco citi il nome della maggiore divinità dei nativi americani Wampanoag, originari del Massachussets (come lo stesso Page), sterminati nel '600 dai coloni inglesi per non essersi piegati alle tradizioni britanniche: ci piace pensare che il buon Michael abbia voluto rendere un piccolo omaggio ad un altro dei genocidi dimenticati in terra d'oltreoceano. "Kiehtan" si compone di due brani: la title-track ed "Himmelblau - Starren": la prima è una monumentale jam post-psichedelica costruita su una serie di tessiture sonore che si sovrappongono e si alternano, passando da sprazzi di energia luminosa e calda a oscuri pertugi sonori, nell'alternanza di umori tipica di un viaggio spirituale. Un viaggio, questo, che sembra condotto nelle brumose foreste di conifere del Nord America, dove aleggia lo spirito di Kiehtan in tutta la sua forza. Michael usa suoni di basso portati all'estremo, rintocchi di campane dilatati al massimo, spezzoni di suoni rubati ad una orchestra, schegge di metallo e rumori senza tono, tutto per esprimere la sensazione di impotenza e piccolezza dell'uomo di fronte al mistero della natura e dei suoi simboli. La sua proposta si rifà quindi alle stratificazioni orchestrali e ambientali di progetti come The Unquiet Void piuttosto che alla rigorosa e cupa austerità dei Raison D'Être, con riferimenti più alti al krautrock degli anni '70 e '80. Il secondo brano è invece un pezzo di drone music arricchito di elementi metallici e ambientali, su cui ha messo le mani Mark Spybey di Dead Voices On Air: sinceramente è una inutile appendice al brano principale, che già di per sé poteva essere sufficiente per giustificare l'uscita del disco. A completare il lavoro vi è poi la perizia in fase di masterizzazione del nume James Plotkin (OLD). In conclusione si può dire che "Kiehtan" sia un buonissimo disco per chi ama i viaggi psichedelici, da ascoltare in cuffia a volume alto: trip garantito.
Ferruccio Filippi
http://www.collectivexxiii.com/sky