07-02-2011
THE PAIN MACHINERY
"Urban Survival"
(Advoxya)
Time: (62:05)
Rating : 7.5
A meno di un anno dall'interlocutorio EP "Total Recall", il longevo duo svedese - capitanato dal fondatore Anders Karlsson e completato dal fidato compagno d'avventure Jonas Hedberg - torna sulle scene col quarto album per un 'ultimo giro di valzer' con l'ungherese Advoxya, prima di accasarsi con la connazionale Complete Control Productions per l'annunciato prossimo full-length "Surveillance Culture". Dopo i dubbi lasciati dal succitato EP, il duo si rialza recuperando quella ferale, ansiogena, violenta, muscolare, ruvida, rocciosa e malata EBM di fine 80s/inizio 90s che aveva segnato i primi due full-length "The Venom Is Going Global" ed "Hostile", e lo fa con la forza e l'intensità di chi ha qualcosa di concreto da gridare in faccia al mondo e nessuna remora nel farlo. I riferimenti restano i grandi nomi della succitata era aurea dell'electro body music, dagli Skinny Puppy a Mentallo & The Fixer ed altri colossi, ma il grande pregio dell'act scandinavo è quello di suonare estremamente più onesto e credibile della spietata concorrenza nel suo recupero di suoni di epoche passate, specie se paragonato ai cloni di DAF e Nitzer Ebb, che proliferano nel mercato musicale con un sound molto più scarno e privo di sbocchi rispetto a quello di The Pain Machinery. Un intreccio duro e spietato quello degli svedesi, dove i ritmi non sono quelli 'dritti' tanto in voga attualmente, le vocals non sono i soliti schiamazzi harsh e le inflessioni industriali sono autentiche ed abrasive come da manuale. Le ritmiche sono spesso fortemente incalzanti, in un fragore che però non guarda soltanto al club, mentre vocals (tre dei brani sono cantati da Jared Louche di Chemlab) e samples si incastrano bene in vortici sonori travolgenti, con qualche buona incursione di chitarra a cura dell'ospite Marc Plastic. Ruvidi e graffianti, i The Pain Machinery tengono sempre alta la tensione e l'intensità, sia che si tratti di momenti più macchinosi e/o piacevolmente 'caotici' ("Fearless", "Adapt", "Snake Church", "React"), sia che a dettare la linea siano bassline e ritmiche più scarne e dirette come certa vecchia EBM imponeva ("I Am Night", la già nota "Total Recall" e "Weekend Warrior"). Bene anche l'acida e 'skinnypuppiana' "Traitor", l'electro-dark solida ed avvolgente dello strumentale "Internal Bleeding" e la muscolare ossessività di una "Witness" che è tutta ritmo e sudore; sorprende il piglio rock - complice la chitarra - della concitata "29 Stitches" e colpisce la forza d'urto di una "Slave" urlata a pieni polmoni, durissima nel suo taglio industriale, mentre piace l'interessante rielaborazione dub di "Snake Church", curata da The Green Lion e posta a fine opera. Non un disco originale, sia a livello di idee che in termini di produzione, ma di certo un lavoro le cui caratteristiche di solidità, forza, varietà, maturità ed onestà, unite alle indubbie capacità realizzative dell'esperto duo, sapranno coinvolgere e soddisfare soprattutto chi ha amato l'EBM nelle sue più dure declinazioni di una ventina d'anni fa.
Roberto Alessandro Filippozzi
http://www.thepainmachinery.com/
http://www.advoxya-records.com/