13-12-2010
FRIGHT NIGHT
"The Play Of Pain"
(JetNoise Records)
Time: (59:06)
Rating : 5
Quante volte ci siamo trovati di fronte all'irritante giudizio di chi pensa che fare musica gothic non sia altro che assemblare una bassa e profonda voce maschile con una voce femminile leggiadra e sognante, girando su canonici accordi discendenti e minori rallentati e ripetuti fino alla nausea? Purtroppo, personalmente, mi è capitato molte volte a malincuore, e con un certo senso di impotenza ho dovuto 'giustificare' la profondità emotiva di questo genere musicale, cercando di farne notare tutte le sfaccettature e la drammaticità, la struggente malinconia, la nostalgica dolcezza... Eppure alle volte, malvolentieri e con un disperato senso di incomprensione, non resta altro da fare che dar credito a simili ignoranti pregiudizi, perché il panorama mondiale, com'è normale che sia, presenta band che abbassano notevolmente il tasso qualitativo della musica, e non vorremmo mai che un neofita si avvicinasse alle nostre amate sonorità per mezzo di certi dischi. Mi sento di dire, in questo caso, che la JetNoise risulta essere complice di un brutto vizio di mercato, dove si preferisce privilegiare l'immagine cavalcando il trend del momento, piuttosto che premiare la qualità del prodotto in sé. Dalle informazioni di cui dispongo, non sono riuscito a capire se in patria facciano furore, ma quel che è sicuro è che il disco d'esordio dei Fright Night, band moscovita attiva dal 2005, è un insieme di cliché senza infamia e senza lode. Una mediocre rilettura di un gothic rock dal gusto epico e teatrale, che risulta scialbo sia in fase compositiva che in fase emozionale. Arrangiamenti elementari, suoni non sempre curati al meglio e improbabili armonie che, a volte, sfociano in dissonanze al limite della stonatura ("The Cross And The Pyre"). Il vero punto dolente è la voce maschile, che a tratti ricorda l'Oliver Heuer dei primi anni novanta, ma con l'aggravante di una palese piattezza e mancanza di pathos (non basta andare il più in basso possibile per avere un timbro affascinante). Al contrario la voce femminile, di netto marchio mitteleuropeo alla Dreams Of Sanity o Erben Der Schöpfung, seppur non sempre in sintonia con quella maschile, risulta più incisiva ed espressiva. Gustose le variazioni che ci presenta la tastiera, che alterna semplici ma efficaci parti di piano a lugubri e sinistre atmosfere di organo, ma che troppo spesso appare la maggiore responsabile di un vuoto imbarazzante. Il problema è che l'insieme appare rudimentale: a parte rare occasioni, come nel malinconico refrain di "The Letter Of The End", fra i migliori spunti dell'album, sembra di avere a che fare con una registrazione in presa diretta di un gruppo alle prime armi. La cover di "Rainbow Demon" degli Uriah Heep non innalza la mediocrità di un lavoro noioso e senza slanci. Solo la sognante "Christopher Lee" regala un momento di romantica seduzione, avvicinandoci alle atmosfere scandinave dei 3rd And The Mortal, avvolti tra la nebbia dei fiordi e ammaliati dall'alternanza di trame vocali ora recitate, ora gelide e avvolgenti. Anche la conclusiva "Black" incuriosisce per l'oscura e malefica aria che si respira. Probabilmente questi ultimi due brani, più posati e ricercati dei precedenti, rappresentano un cardine da cui partire per possibili sviluppi futuri. In attesa di una futura maturazione, quel che resta da gustarsi è purtroppo solo l'eleganza dell'artwork.
Silvio Oreste