29-09-2010
IKON
"Love, Hate And Sorrow"
(Apollyon)
Time: CD1 (53:22) CD2 (41:21)
Rating : 9
Dai suoni scuri degli anni '90, figli di quel post-punk che corteggiava la wave più cupa, alle recenti contaminazioni folk noir. In mezzo, un pezzo di storia underground che è riferimento principe tra i figli dei Joy Division. Ikon come Danse Society, Ausgang o Chameleons. Ikon come tutti coloro che hanno dato toni scuri alle chitarre, alla voce, ai sogni di una generazione angosciata e disillusa che nella musica ha trovato lo stargate per un'altra dimensione più consona, con i valori della vita non calpestati ed un angolo per sognare brillante, non opaco. Dimensioni possibili in cui gentilezza e poesia sono virtù, e nel 2010 siamo per l'ennesima volta testimoni di quanta romantica passione per la musica, il canto e la parola ci sia negli australiani. Un trio meraviglioso dopo gli avvicendamenti dei vari periodi (dal 1991 ad oggi più membri hanno abbandonato la band di Melbourne), che tuttora trova il suo fulcro intorno alla voce generosa in toni e colori di Chris McCarter, alla chitarra di Anthony Cornish ed al basso di Dino Molinaro, unti alla piccola succosa novità Adam Calaitzis, qui presente in veste di factotum/produttore, con qualche egregio intervento ai synth. Un ritorno di lusso, dopo otto anni, alla corte di Mark Hoffmann, che insieme alla storica label degli australiani (Nile Records Australia) punta alla diffusione planetaria del doppio album. Due dischetti, ma attenzione: il secondo non è la solita parata dello stesso brano, remixato il più delle volte da autorevoli sconosciuti usciti da un contest online. Nel secondo dischetto rivive il primo, ma nella versione di un folk-unplugged a volte perfetto nel catturare l'ascolto. Vi lasciamo nel pieno del libero arbitrio, ma un trio di tecnici simili in veste acustica diventa una sequoia in grado di oscurare tanti piccoli 'cespugli' del neofolk, impegnati a sopravvivere con tre, a volte quattro accordi di chitarra. Il fatto che tra i ringraziamenti ci sia anche un certo Douglas P. non deve stupire, perché Re Pearce quei suoni li ha esaltati in tanti anni di attività. Iniziamo però con il primo dischetto: subito all'ingresso, "A Line On A Dark Day" e la successiva "Before The Dawn" si offrono come 'jingle' dell'intera opera. Darkwave psichedelica nutrita da piogge di chitarre e malinconie intonate dalla voce di McCarter, profonda e suadente come il miglior McCulloch (Echo & The Bunnymen). "Among The Runes", insieme alla title-track, sono altri episodi che donano un nuovo volto agli Ikon, non sovvertito rispetto al passato, ma che grazie a questo sapore languido di old-wave esalta la carriera di una band che sa sempre guardare oltre e, con "Torn Apart", creare un mix incredibile con il synthpop di raffinata classe. Basterebbe così, invece c'è ancora un dischetto a sigillare con ceralacca ricercata la qualità degli australiani: "Hindsight", ripresa dall' EP del 2007 "League Of Nation", si abbandona nel dark-unplugged, e la tecnica applicata alle sei corde ricorda i migliori Wire di fine carriera o Robert Smith nelle sue performance 'a spina staccata'. "Amongst The Runes" è ancora più bella rispetto l'originale, e nella bellezza del fingerpicking le due chitarre diventano espressive. "Driftwood" ha ora colori alogeni, e la poesia cullata nel testo è incorniciata da una voce ancora più intima, personale. Dieci ulteriori tracce per amare gli Ikon in questa appendice all'album: Apollyon si conferma tra le regine della chitarra underground, e non pensate che questo sia 'un album per vecchi', poiché proprio sulla scia degli Ikon il dark ha un futuro ancora tutto da scrivere.
Nicola Tenani