29-09-2010
CHRIS CONNELLY
"How This Ends"
(Lens Records)
Time: (51:37)
Rating : 7.5
Chris Connelly nasce e cresce in quel brodo che, anche in Scozia, moltiplicava idée ed artisti già dagli inizi degli anni '80. Reduce dal terremoto punk, con il vicino epicentro inglese di Londra, una delle capitali del 'post' diventa Edimburgo, generando menti e concept splendidi, tra cui vanno assolutamente citati i Cocteau Twins e, tra i padri della new wave, i Simple Minds o Gordon Sharp degli immortali Cindytalk, presente nel disco in esame con la sua decennale sensibilità sonica. Tra loro anche Mr. Connelly: scozzese caparbio e brumoso come la sua terra, in tanti anni dipinge la sua carriera tra progetti di matrice quasi sempre nevrotica, a volte industriale, spesso figli del declino ideologico, motivo che ne aumenta l'istinto rabbioso nell'usufruire delle vie psichiche della ribellione. Ministry, Pailhead insieme a Ian MacKaye dei Minor Threat, i Revolting Cocks o, assieme a Geordie Walker dei Killing Joke, i The Damage Manual, giusto per inquadrare parte di una carriera nata nel 1990 con il maxi-singolo "Stowaway" nella storica Wax Trax! Records, una casa capiente e ben arredata da gioielli soprattutto nei vinili di Ministry, KMFDM, Front Line Assembly, Juno Reactor o Psychic TV, tra i tanti. È proprio il vinile che cresce Connelly, simbolo di ere pionieristiche, difficili ma generose, conquiste che negli anni ci rendono ciò che oggi è la ragnatela 'post', e con esso siamo oltre i singoli generi. Lens Records accoglie il dodicesimo album dello scozzese, e non è un caso che proprio la label di Chicago lo voglia tra le sue fila nel progetto più estremo e liberato da schemi musicali, per generare una nuova ottica prospettica in una carriera pronta ad una svolta. Due lunghe tracce nate nella mente di Connelly, il quale, estraniando i concetti da tutto ciò che è suono in "How This Ends", parte dalla parola sviluppandola e musicandola senza schemi, aggiungendo in seguito suoni e musicisti. Due suite moderniste ed espressioniste in cui regna lo spoken-word sussurrato e quasi subliminale. La prima parte vede la voce recitante di Tania Bowers, protagonista in più riprese, sostenuta da pianoforte e tastiere che colorano uno sfondo porpora di metropoli notturna ed irreale, viva o morente a seconda dell'attimo, base per soffici apatie alienate anche quando giunge in sostegno la voce maschile, ora calda per contrasto, creando ansie ed attese. Il tutto interrotto più volte da situazioni di urbano stress, idealizzato benissimo nel finale dal crescere delle stasi elettroniche, fino a generare eliche furiose su cui un sax distorto disegna graffi, incide pelli, istiga lo spleen. La seconda parte è vittima di un suono ambientale in cui la vita è solo l'attimo e le lunghe stasi droniche generano variabili scendendo a compromessi illogici, intervallato da momenti di folk apocalittico ed esoterico in cui prima il piano, poi la chitarra e la voce, trovano il momento in cui tentare nuove comunicazioni. Due tracce: sognatele e percepitele come due suite frutto di un'orchestra industriale, una fucina di siderurgia sonica in cui trovano e donano suono vari interpreti, insieme al 'titolare' Chris Connelly. Abbiamo citato Gordon Sharp dei Cindytalk, ma come non dare risalto al pianoforte, fondamentale nel trarne delle apocalissi? Un segnale di romanticismo che si traduce in immagine di cruda umanità cyber-ambientale, e le dita che suonano quel piano sono di Bill Rieflin, che, insieme al Nostro ha condiviso onori nei Ministry, oltre ad aver partecipato a vari lavori con i R.E.M., Michael Gira e gli Swans. Il debutto di Chris Connelly in casa Lens avviene con un album difficile che pecca a volte di eccessi nelle stasi, ma che fonde perfettamente situazioni aliene di metropoli morenti con animi disillusi: promesse che cercheremo in futuro, sempre se l'uomo ne meriterà uno...
Nicola Tenani