16-04-2007
ELEND
"A World In Their Screams"
(Prophecy/Audioglobe)
Time: (57:42)
Rating : 6
Parlando degli Elend va innanzitutto sfatata una leggenda: pur essendo prodotti da una label che di preferenza tratta le ramificazioni del metal, questo ensemble mitteleuropeo non ha nulla a che vedere sia con le chitarre graffianti che con quelle plumbee del goth rock. "A World In Their Screams" chiude la cosiddetta trilogia dei 'vènti' inaugurata tre album fa con "Winds Devouring Men". Parlare di questo disco può risultare cosa molto complessa, visto che vi hanno preso parte (com'è di norma nelle release degli Elend) circa 30 strumentisti differenti - con un'ampia rosa di strumenti classici ed elettronici - di cui la label non ci dà notizia alcuna, grosso limite che ci costringe quindi a procedere con l'intuito dinnanzi ai grovigli sonori dell'album; inoltre nella copia promozionale mancano anche i testi, che qui sembrano avere un ruolo importante. Il trio austro-francese propone di nuovo una mastodontica opera neoclassica in cui si dimenano e giganteggiano sessioni di archi e di fiati, timpani che tengono ritmiche black metal, gong da giudizio finale: su questo vengono probabilmente aggiunti strumenti a corde (basso, chitarra e forse altro) che non rubano la scena, oltre ad un tocco di elettronica. Una francofona voce narrante scandisce i tempi dell'opera, caratterizzata anche dalla presenza di una soprano e di un coro. "A World In Their Screams" è il più violento e aggressivo album degli Elend, costruito con un incedere che può ricondurre (mutatis mutandis e senza volontà di offesa) ad un'opera wagneriana. Mantiene in sé alcuni elementi tipici del prog metal come i continui cambi di tempo (spesso velocissimi) e di melodie, nonché l'oscura violenza di un lavoro black metal, ma ribadisco che non ha assolutamente sonorità rock. Non mancano, come in tutte le opere che tendono un po' a gigioneggiare e a specchiarsi, momenti più tranquilli, magari rotti improvvisamente dal frastuono strumentale. C'è addirittura spazio per un brano ambient ("J'ai Touchés Aux Confins De La Mort"). Il limite di cotanto sfarzo è la freddezza e la totale assenza di emozione: il lavoro non trasmette brividi, sembra un'immane dimostrazione matematica. La carne al fuoco è tanta, troppa, tant'è che ci sono voluti ben tre anni per accumularla. Piacerà ai tecnici della musica, agli amanti del rock sinfonico e del classicismo più algido e calcolato. A tutti gli altri consiglio qualcosa di più diretto e sanguigno!
Michele Viali