11-05-2010
VV.AA.
"Ritual"
(Schytian Horn)
Time: CD 1 (42:36) CD 2 (42:06)
Rating : 8.5
Le precedenti recensioni della compilation "Slavs Part 1" e del recupero del debut album dei Vedan Kolod avevano lo scopo principale di allentare le cortine orientali del mondo slavo, sedurvi con i suoni delle antiche tradizioni bulgare, russe nelle sue lande più remote come anche croate, ceche o rumene, ucraine o montenegrine, insomma tutto quell'universo che, compreso tra i confini politici attuali ha un comune denominatore: la cultura slava. Obiettivo secondario, ma solo relativamente, dimostrare come tanti suoni legati alla dimensione etno-goth attingano dalle matrici folk-popolari: Rajna, Irfan, Dargaard o, nelle sfere più luminose, le seminali incursioni sonore dei Dead Can Dance tra i Balcani e gli Urali, non sono episodi isolati ma razionali amori 'sonori' nei confronti di queste terre arcane, che ora, dopo un piatto dominio fintamente popolare, urlano la loro voglia di appartenenza. In questo un tramite importante è Valerii Naryshkin, membro fondatore dei Vedan Kolod che, grazie a Schytian Horn (un 'centro culturale' ancor prima di essere una label) ed a tutti coloro che con lui cooperano, dà una voce anche extraterritoriale al suo vasto popolo. "Ritual" si compone di due dischetti per cui Valerii sceglie di accorpare suoni rigorosamente di natura slava nel primo CD, per poi aprirsi al mondo nel secondo dischetto (in progetti però che del senso di appartenenza culturale ne fanno una bandiera da sventolare con orgoglio). Ottimo il corposo booklet illustrativo: sedici pagine per farvi conoscere ogni singolo act appartenente al progetto "Ritual", un travelbook idoneo ad accompagnarvi in questo doppio fascinoso viaggio sonoro. Inizio completamente in terra slava con l'intensità di "Nochen'Ka": Alina Petrova e il suo ensemble russo, i Vnuki Svatoslava, come i connazionali Caprice, ci trasportano in un soundscape etereo e neoclassico tra flauti, violini e chitarra. Un gradito regalo per un momento musicale fragile e solenne. All'opposto il brano dei padroni di casa Vedan Kolod nasce dalle radici più terrene, con i consueti atavismi dello scythian horn (lungo flauto siberiano dal suono così simile al didgeridoo). Le diplofoniche grevi e vibrate maschili, le mono-tonie femminili che evocano sciamanesimi di taiga antichi hanno proprio l'odore ed il colore umbratile del terreno. Inconsueto parallelismo con l'Europa occidentale, il folk degli Skolot, nei brani "Feast" e "Knaz", è anello nuziale tra le culture del continente e nei suoi rimandi celtici si perde nelle ere di ataviche contaminazioni migranti. Il secondo dischetto queste contaminazioni le suggella con rossa ceralacca: il concept occulto di "Ritual" è dare risalto ad un passato in cui i popoli, spostandosi tra i continenti, si sono scambiati divinità, scaramanzie, idiomi e vivande, ma anche suoni. La responsabilità dell'opener, anche title-track del sampler, spetta all'irlandese Judy Brown: insieme ai Vedan Kolod, mescolando strumenti siberiani (ma che noi sappiamo quanto siano simili a volte agli strumenti musicali irlandesi) al suo bodhran, ci offre una sonorità collegiale tra i due act il cui denominatore comune è percuotere, soffiare, ma soprattutto ammaliare. Strega e regina dei due dischetti allo stesso tempo è Cheinesh, che con il mantrico suono delle sue cime innevate nell'Altay (piccolo stato tra Kazakistan, Mongolia e Cina) è una silfide seducente che si lega geograficamente con la lontana India per la religiosa compattezza della sua musica. Spazio anche al brio delle Ande più classiche, tra flauti e simil-maracas, nel canto dei Kloketen, presenti con il brano "El Yatiri" (antica figura di sciamano andino). Nel finale doppia sorpresa proveniente dal Belgio: il cupo folk industriale dei Weihan, che con il brano "Soil", forte di un esoterico spoken-word, richiama immediato i Blood Axis. Piacevole dark-folk, sempre fiammingo, da parte dei Theudho: "Austron" nasce nel Belgio e nella voce di Claudia, arrivando lentamente verso graziose trame già sentite ed apprezzate nella Scandinavia dei Garmarna. Il viaggio iniziato nella taiga del primo dischetto finisce tra i colli prealpini di Rosalba Nattero, che da anni nel suo Piemonte ricerca ciò che fu in Europa l'antico sapere canoro che, nato nelle gole dei bardi arrivando sino ai cantori rinascimentali, ha depositato un sapere che è patrimonio anche italico. Bellissima la rilettura del noto traditional "The Wind That Shakes The Barley", con cui Rosalba ed i suoi Lab Graal garbatamente congedano l'ascoltatore alla fine del sampler. Scythian Horn cos'è, innanzitutto? Una label, ovviamente; un veicolo promozionale, ed anche questo è fondamentale, ma ancora di più un centro istruttivo per far sì che la memoria di ciò che siamo non si perda tra i banchi dei parlamenti e di finti globalismi. Qui si raccontano i suoni di due grandi culture: la slava e la celtica, che ora hanno tanti nomi e tante bandiere ma che, nel tempo lontano, forse erano solo due facce di una antica, gloriosa medaglia.
Nicola Tenani