18-01-2010
DARKWOOD
"Ins Dunkle Land"
(HeidenVolk)
Time: (48:11)
Rating : 7
Il settimo studio-album del progetto di Henryk Vogel giunge a tre anni di distanza dal precedente "Notwendfeuer" e vede l'artista tedesco, ormai forte di una carriera decennale ben consolidata, nuovamente contornato dai fidati collaboratori Valentin (violino), Manuela (fisarmonica e backing vocals) e Nadja (violoncello). Edito in un pregiato digipak con un booklet adornato da significative ed affascinanti foto d'epoca (ma purtroppo anche stavolta sono stati omessi i testi dei brani), il nuovo lavoro del mastermind di Dresda prosegue prevalentemente nel solco di quel neofolk tipicamente germanico apprezzato nelle precedenti prove, sostanzialmente in linea col materiale di "Notwendfeuer", seppur con ulteriori miglioramenti tanto in fase di produzione quanto nei cantati e nell'esecuzione, e comunque non senza qualche sorpresa. Inizialmente Henryk non stravolge la sua consolidata formula compositiva, e dopo la roboante ed epica opener "Schattenfahrt", che incanta con un sample fanciullesco particolarmente azzeccato, sforna una sequenza di sette brani tipicamente neofolk, basati sull'ariosa e cristallina chitarra acustica che ben si intreccia con violino, violoncello e fisarmonica. C'è più cura per i refrain, ed in questo aiuta forse un parziale ritorno all'utilizzo della lingua inglese, ma spiace che le backing vocals di Manuela siano molto poco impiegate, tanto che la si scorge nettamente nella sola "Break Of Dawn"; poco sfruttate anche le percussioni, che galvanizzano l'intensità di momenti come "Trauermantel" e dell'impetuosa "Flammend Morgen", lasciando comunque sempre trasparire quel dolente senso di malinconica disillusione - tipico dei cantori neofolk della Mitteleuropea - che pervade chi assiste impotente all'inesorabile cancellazione dei valori di Tradizione, Identità ed Appartenenza sotto i colpi di una globalizzazione manovrata ad arte e spietata, che distrugge e sradica senza pietà alcuna le radici europee in nome del 'dio denaro'. Curiosamente l'opera vira di netto verso il finale, riservando le sorprese di cui sopra: le ultime quattro tracce, infatti, ruotano attorno ad ipnotici giri di basso che, uniti al recitato in lingua tedesca ed al drumming moderatamente marziale, creano un clima austero e cupo che vede il suo apice nello splendido intreccio strumentale di "Rancourt", che cresce magicamente d'intensità serpeggiando in sottofondo. Un disco che si potrebbe quindi scindere in due parti ben definite: una prima più di mestiere, tanto affascinante quanto prevedibile nelle sue strutture sonore, ed una sezione conclusiva più aperta ad una sperimentazione - ammesso che non si tratti di qualcosa di concettualmente isolato - i cui sviluppi futuri restano un'incognita. Chi lamenta la staticità del neofolk potrebbe non superare la quarta traccia, nonostante l'indubbia maestria di Henryk e soci nel maneggiare queste sonorità, mentre chi arriverà sino in fondo nell'ascolto potrebbe rimanere in parte spiazzato, oppure piacevolmente sorpreso: fatevi i vostri conti.
Roberto Alessandro Filippozzi