31-08-2009
ARTESIA
"Llydaw"
(Prikosnovénie/Audioglobe)
Time: (41:04)
Rating : 6.5
"Llydaw" è l'antico nome gaelico della Britannia, fosca regione della Francia occidentale celebre in tutto il mondo per i suoi secolari misteri e le sue foreste incantate. Dalle luci e dalle ombre di questi luoghi senza tempo prende vita la musica di Agathe, fondatrice dell'ensemble transalpino Artesia. Il duo originario ha recentemente assunto le forme di un terzetto, grazie all'arrivo della giovane violinista Coralie (chiamata a sostituire la defezionista Gaëlle) e del chitarrista/corista Loïc Cellier, portatori di nuova linfa vitale all'interno di una band che, malgrado gli sforzi e l'assiduo impegno dell'ottima Prikosnovénie, che negli ultimi anni l'ha supportata in ogni modo, ancora non è riuscita a compiere il definitivo salto di qualità nel panorama musicale di riferimento. Per varcare le soglie di "Llydaw" sarà necessario vestire i panni di un viaggiatore solitario che, attraversando boschi fatati e radure dimenticate dal mondo verso un destino di gloriose avventure, rimane incantato di fronte alle meraviglie dell'incontaminata natura bretone... I canti di fate, ninfe ed elfi lo circondano e lo trascinano lontano, in una realtà onirica nella quale l'impavido guerriero potrà finalmente abbandonare la stanchezza e gli affanni terreni. La musica degli Artesia, con le sue tastiere sinfoniche, il suono dolceamaro del violino celtico, le percussioni e le chitarre solamente accennate, è un vero toccasana per le orecchie dell'ascoltatore. Non sarà affatto difficile rimanere ammaliati da cotante suggestioni, complice, tra l'altro, un concept grafico d'elevata caratura realizzato dall'artista nostrana ScarletGothica. Come accadeva per i due lavori precedenti, "Hilvern" e "Chants D'Automne", anche durante l'ascolto di "Llydaw" vengono spesso chiamati in causa i più importanti nomi della scena eterea e neoclassica: impossibile non scorgere tra queste note sentori dei più eterei Dead Can Dance ed Arcana, oppure un vago rimando alle strutture dei primi Dark Sanctuary, sebbene nelle composizioni di Artesia non venga mai dato un grande risalto al ruolo della voce, che svolge una funzione d'accompagnamento senza mai ritagliarsi ruoli da prima donna, probabilmente per colpa di un bagaglio tecnico piuttosto amorfo. Forse proprio nel suo incessante citazionismo risiede il più grande limite del progetto: se Agathe e soci avessero costruito un sound più personale e convincente sulle base di queste ispirazioni, oggi staremmo probabilmente parlando di "Llydaw" in ben altri termini. Ma tra il dire e il fare, come i nostri lettori sapranno, c'è di mezzo il mare; così l'assenza dell'umore gotico ed opprimente degli Arcana, delle armonie imprevedibili ed iridescenti dell'intramontabile duo Gerrard/Perry, del disperato e sepolcrale romanticismo (in termini puramente classici) dei conterranei Dark Sanctuary inficiano le sorti di un disco destinato ad incantare al primissimo ascolto per poi perdersi, inesorabilmente, tra le nebbie dell'oblio.
Marco Belafatti