08-09-2008
M'ERA LUNA FESTIVAL 2008
Fields Of The Nephilim, Front 242, VNV Nation, Apoptygma Berzerk, Hocico...
Hildesheim, Germania, 09-10 Agosto 2008
di Nicola Tenani
foto Valentina Bonisoli
Il M'era Luna ed Hildesheim, una location non esclude l'altra: entrambe meritano la piena partecipazione, e proprio per questo decidiamo di arrivare nella cittadina a sud di Hannover due giorni prima, poiché l'anno scorso non abbiamo avuto il tempo necessario per visitarla come merita. Perché qui si può avere la possibilità di visitare un castello incantevole come quello di Marienburg, oppure il centro con la Rathaus e tutti gli edifici che le stanno intorno, anche se ricostruiti negli anni '80 ma fedelmente, o semplicemente girando nella zona prossima al centro, dopo il duomo, vicino al fiume ed al parco (entrambi stupendi). Una piccola oasi di tranquillità per le orecchie (che solo due giorni dopo verranno messe a dura prova dalle lunghe permanenze sotto il palco), ma anche la magnificenza di una città che affascina. È il 9 agosto: pronti di buon mattino dopo la solita colazione tedesca, io, Valentina e la sua fedele Nikon D80 partiamo alla volta del festival. Entrare al M'Era Luna come sempre mozza il fiato: il camping si sveglia di buon'ora e, che sia piovuto o no, il popolo dark proveniente da tutta Europa è pronto per la full immersion con la propria musica, aspettando questo o quel concerto, incontrando amici, bevendo casse e casse di birra senza mai esagerare o creare situazioni di tensione, e si parla di migliaia di persone. Il dato ufficiale dell'organizzazione annuncia 23000 paganti, ma gli accrediti sono tanti; noi della stampa (un piccolo gruppetto tra fotografi e reporter), un esercito gli amici dei membri delle band, siti e sitini locali, accrediti da negozi o standisti... Tra tutti, nell'ex-aeroporto di Hildesheim gravitano secondo una mia personale stima almeno 40000 persone. Gente di tutti i tipi, metallari e dark, cyber e gotici medioevali, convive nel rispetto e nella passione per la musica, a volte anche dell'esibizionismo fine a sé stesso, ma ci sta...
Puntualissimo, il programma del sabato inizia alle 11 ed il main stage propone un'apertura tutta gothic metal; un po' la voglia di musica, un po' la curiosità di vedere queste due band, e come noi tanti sono di buon'ora sotto il palco per una lunghissima giornata di live. Aprono la kermesse i DELAIN, gruppo olandese di recente formazione ma con già tre album prodotti in due anni. Non male nella loro semplicità un po' stereotipata, la voce di Charlotte non è molto sopranile per il genere però ha carattere e presenza scenica, le chitarre vivono di equilibri a cavallo tra il metal ed il goth tipicamente teutonico portando il ricordo verso Umbra Et Imago e Lacrimosa. L'alternanza di momenti più vicini al goth ed altri, un po' per le chitarre che si distorcono in riff contorti ed il cantato in stile growl di Roland Landa, li avvicina ai My Dying Bride. La batteria percossa da Sander Zoer ha momenti di intense galoppate piacevoli, ma nella parte finale i Nostri scadono verso un pop-goth-metal che al pubblico tedesco piace molto, lasciando me un po' dubbioso... Quando la tastiera trova il suo spazio tra i graffi delle chitarre, le amalgame sono affascinanti; nel complesso la loro esibizione di soli 20 minuti trascorre senza problemi, il palco lo tengono bene, il M'Era Luna è iniziato!!!
Nessun spostamento aspettando i successivi ELIS, altra band gothic metal proveniente dalla Svizzera con alcuni componenti dal Liechtenstein: inizio subito problematico con il microfono della singer Sandra malfunzionante ed i grossi riverberi del basso, lei con molto mestiere riesce a supplire spostandosi sul microfono di Chris durante la sostituzione, le prime due tracce comunque per questi motivi non decollano. Non mi ha comunque convinto il pessimo contrasto goticheggiante di Sandra con la presenza 'alla Manowar' del resto della band, brutto accostamento tra muscoli ostentati e dolcezza di voce e di presenza scenica. Prese singolarmente le componenti non sono affatto male: lei si propone con ottima voce e presenza scenica, le chitarre violente e ben suonate, ma l'amalgama è assente; era giusto per rompere il ghiaccio, il festival sta per entrare nel vivo e l'attesa è breve.
Ci spostiamo nell'hangar di corsa, un evento per me molto atteso è ai blocchi di partenza (il giorno prima erano iniziati i giochi olimpici...). Al nostro arrivo una grande delusione: hangar vuoto, al massimo 100 persone (mediamente i concerti superavano le 1000), ma personalmente non mi interessa... sono qui per i LEGENDARY PINK DOTS e voglio essere davanti per sognare le ipnosi di Edward Ka-Spel e Niels Van Hoor. Ed è subito malìa: che classe Niels nel riempire l'aria di note di sax pallide e lievi come un passeggio lunare, che morbidezza di voce Edward! Nonostante gli anni è sempre lui: tunicona nera, sciarpa viola, occhiali scuri, piedi scalzi. Inizia il loro gioco di 40 minuti, fatto di dolci voli surreali come un quadro di Chagall, resi ancor più surreali da un gruppo di ragazzi che dalle prime file riempiono la parte anteriore dell'hangar di bolle di sapone. La voce di Edward si espande all'infinito, le note vengono tenute stabili e senza vibrazioni su toni sommessi per non svegliare il pubblico dalla magia che man mano aumenta; solo i Tuxedomoon credo possano competere in ciò con i 'puntini leggendari'. Alla terza song proposta Edward diviene un vecchio gatto conscio del suo potere medianico, per poi proseguire in duetti e giochi vocali sull'ossessione di note intarsiate dal basso; sax e clarino sono potere di Niels, l'insieme è da forti brividi. Mentre l'ipnosi è al top, Niels scende dal palco suonando il sax tra il pubblico ora cresciuto, correndo, fermandosi per poi riprendere la corsa in mezzo alla folla stupita, mentre dal palco la voce di Ka-Spel è dolorosa e tesa, psichedelie dal sapore crepuscolare come forse sarà in futuro difficile risentire. Finisce il brano e Niels ed Edward si guardano: il primo indica che mancano cinque minuti alla fine, una leggera incertezza, carpe diem!! Urlo la mia richiesta, "The Grain King!", e sono subito accontentato. Niels comincia le prime note di sax, poi il brano che rende famoso l'album "Maria Dimension" entra nel vivo e siamo presi dalla frenesia del movimento dei nostri corpi, completamente nelle mani della malìa dei Legendary Pink Dots. Nella parte finale Niels suona sax e clarino insieme con note strozzate ma vive, riuscendo a produrre echi freddi e sincopati; il rammarico nel comprendere che questa band non sarà mai culto rimane, l'amore di tanto pubblico europeo (e non) per i 'puntini' anche...
Niente sosta: oggi il programma non lo permette, e difatti sul palco salgono i CINEMA STRANGE. Premetto che non li ho mai amati troppo, quindi mi astengo dal giudicare una band che è supportata da molti fans; mi godo comunque lo spettacolo estetico e scenico offerto da Lanthier & co., ed in ogni caso rimango solo per metà live, poiché tra le mie priorità ci sono gli Ordo Rosarius Equilibrio tra meno di 15 minuti al main stage, e davvero ci tengo a presenziare alla performance. I Cinema Strange sono in ogni caso bravi, non mi stimolano molto musicalmente però come sempre riconosco la loro bravura in scena, suono pulito e voce all'altezza; a livello teatrale il mio apprezzamento è totale, musicalmente non riescono a coinvolgermi. Le foto uscite dalla D80 di Valentina sono tra le migliori, i Cinema Strange sono un inno all'apparire, la loro concettualità prosaica è forte... gli Ordo Rosarius però chiamano!
Sono davvero curioso di vedere gli ORDO ROSARIUS EQUILIBRIO dal vivo in un contesto non proprio adatto a loro. Infatti il pubblico approfitta della loro performance per shopping o chiacchiere davanti a birre, wurstel e cibo in generale. Dopo quattro brani eseguiti perfettamente la magia della musica compie il suo ciclo: la gente si avvicina, gli Ordo Rosarius stanno suonando in maniera esemplare, anche le orecchie dei più 'brutal' tra gli amanti del goth o del metal capiscono che sul palco ci sono 5 musicisti capaci; pochissimo viene lasciato alla scena, tutta musica, e nonostante l'apatico canto di Pettersson tipico del loro sound, l'atmosfera che riescono a creare è a livelli altissimi tra batteria elettronica, campane tubolari, il gong ed i tumpers suonati con mazze e non con normali bacchette. La scelta dell'uso delle mazze è comunque comune a tutte le percussioni, suono sordo ma mai eccessivamente marziale, omogeneo senza coprire la voce di Tomas, il quale durante vari momenti del live accarezza le campane tubolari poste di fronte al suo microfono. Ritmi pacati ma vibranti, mai eccessivi ma pieni nel loro estendersi. Sono contento: la musica di qualità trionfa, e non sarà l'unico episodio del festival. Ipnotici gli intercalari duellanti di gran cassa e tumper, sempre coesi con la batteria elettronica in un crescendo che negli ultimi due brani si avvicina al marzial-folk, ma non apocalittico e figlio di guerre e disperazioni; semmai più esoterico, solare, rituale nel suo pagano proporsi, tra Joy Division e Current 93, tra Swans e Death In June, e chi ama gli Ordo Rosarius sta sicuramente capendo.
Oggi la scaletta è veramente da tour de force, nell'hangar i Christian Death e qui i Red Lorry Yellow Lorry... Scelgo i RED LORRY YELLOW LORRY, anche perché forse sarà l'ultima volta che vedrò Chris Reed, che la volta precedente tra l'altro era solo, mentre qui oggi in scena di chitarre ce ne sono due, unite al basso ed alla batteria, ma il loro sound ha bisogno di due chitarre, quindi la scelta è dolcemente forzata. Apro però una parentesi sui Christian Death: dopo il live un amico toscano presente mi ha raccontato che, nonostante la plateale polemica iniziale, Valor ha dato un'ottima prova ed è stato piacevole assistervi, e non posso aggiungere nulla se non che l'amico è decano degli under stage, quindi la sua affidabilità è totale. Che dire dei Red Lorry Yellow Lorry? Un pezzo di post-punk vivente, mai culto, mai protagonisti assoluti; Reed però alla chitarra è un re vivente, nulla è concesso allo spettacolo, bisogna amare i riff e lasciarsi avvolgere dai suoi cavalli di battaglia, non solo "Talk About The Weather"... Che dire di un concerto che inizia subito all'insegna di potenza, riff e galoppate di batteria e chitarre? La voce di Chris è aperta, tremendamente inglese, forte e pulita, gli anni non passano e lo sciovinismo di un uomo che alla soglia di una venerabile età non cede il passo è la prova che il rock è vivo e vegeto; gli accordi delle chitarre sono a volte sferzate di vento e a volte tempesta, ti piovono addosso come pochi eredi del punk-rock possono concedere, anche se la seconda chitarra a volte non riesce ad amalgamarsi con la tecnica eccelsa di Reed, oltre ad alcuni problemi con la batteria. Le prime file sono un tripudio di magliette di Alien Sex Fiend, Voices Of Masada etc., il popolo post-punk è lì per tributare i meriti dei RLYL per l'ennesima volta, una longilinea candela che non si spegne nella sua luminosa luce, gli unici eredi dei Clash di "Combat Rock", e forse non è un caso che nel momento in cui Strummer vira verso altri lidi nasce l'astro di Reed...
Salgono poi sul main stage i MESH, mentre nell'hangar suonano i nostri Klimt 1918, ma preferisco (e forse ho sbagliato) rimanere per la band di Bristol. Non è stato affatto un brutto concerto, tutt'altro, però un po' erano maggiori le mie aspettative, un po' i problemi tecnici, quindi non mi hanno convinto fino in fondo. Già dal primo brano il basso denotava forti distorsioni, e pure il microfono di Mark Hockings dava problemi. La voce migliora solo verso la metà del live, mentre il basso mantiene, seppur in misura minore, le distorsioni per quasi tutta l'esibizione. Pessimo il look di Mark, non per volere pretendere un 'dress code' di chi si esibisce, ma veramente si è presentato come un abitante di Harlem!! Tra echi di Depeche Mode e Covenant si svolge tutta la loro esibizione, ora più presente nei synth, ora nelle chitarre; risolti i problemi tecnici la qualità è ottima e la sottile serpe danzereccia si insinua su tutto il pubblico (me compreso) rendendo piacevole lo show, sebbene manchi ancora quel salto di qualità per diventare definitivamente una band di culto... Di tempo ne hanno, attendo sempre il disco di riferimento. Improvvisamente sul palco una figura di corsa attraversa tutto lo stage: è Mark Jackson dei VNV Nation (tra qualche ora toccherà a loro), il brano che stanno eseguendo i Mesh è un loro remix (chi non passa dalle campionature di Jackson nel future/synthpop?). Obbiettivamente però in questo caso il remix non mi soddisfa, troppi stacchi tra la parte tipicamente VNV e la morbida presenza del rock elettronico dei Mesh: non è il remix meglio riuscito che abbia sentito e preferisco il sound dei Mesh nudo e crudo, almeno in questo caso. Nonostante le mie aspettative in parte siano state deluse il concerto è stato piacevole, anche se secondo me Mark manca un po' di personalità e presenza scenica, anzi, a volte è davvero buffo nel suo muoversi in modalità street-dance; credo negli anni matureranno ancora di più, ed aspetto in futuro un disco di grande caratura dai ragazzi di Bristol.
Ora l'agognato panino con wurstel e senape me lo sono meritato: stanchi in press area ma con ancora VNV e Front 242 da vedere, ci sorseggiamo una birra guardando le nostre foto e quelle dei colleghi, scambiandoci impressioni ed aspettative, in un clima di passione per la musica e di voglia di condividere insieme ciò che un festival vissuto così intensamente offre. Per la Becks rinuncio agli Unheilig, li avrei visti davvero volentieri ma dopo otto ore sotto i palchi abbiamo bisogno di un pit-stop... Dopo un'ora comunque di nuovo al main stage, la folla è oceanica: ladies and gentleman, i VNV NATION. Credo si superino le 20000 persone quando Ronan e Mark salgono in scena dopo una intro di musica classica, e da subito il ritmo ha un'unica prerogativa: ballare! E si balla... Perfetta la parte campionata, ma se all'inizio poteva starci l'istrionismo di Harris, poi diventa fastidioso: tutto il concerto basato su incitamenti a ballare, cantato urlato inframmezzato da slogan e sollecitazioni che nemmeno il vocalist del Cocoricò... La cosa comincia a darmi fastidio, per me i VNV Nation sono sì ballo ma anche dolcezza lirica, canto malinconico, ma qui sono solo urla istrioniche. Piacerà al pubblico presente, ma io lo detesto. "Legion" live diventa una sorta di 'Claudiobaglionismo' collettivo, centinaia di accendini accesi volteggiano in aria, io e Valentina ci guardiamo e ci chiediamo se siamo al M'Era Luna: per favore Ronan, canta, sei pagato per farlo, FALLO!! Invece tutto il live è così, quando Harris tenta di cantare si ritrova una voce corrotta dalle urla precedenti, la dolcezza tipica è svanita; amo i VNV ma non questi, nel futuro solo dischi. Anche "Further" delude, suonata e cantata al pianoforte da Ronan in stile Cocciante, però piace a tutto il resto del pubblico, quindi ha ragione lui...
Dopo però tocca ai FRONT 242, altra musica, professionalità all'eccesso, clima da evento fin dalle prime note. Asettici nel non concedersi al pubblico ma solo alla musica, grande senso scenico di Jean-Luc De Meyer & co., voci perfette negli intercalarsi, fumo e luci che contribuiscono al delirio generale. Percussioni, synth, voci e campionature perfette, i padri dell'EBM ci sono totalmente, ed altrettanto totalmente rivendicano la loro classe nell'unico modo che conoscono: far ballare e divertire. Il suono è omogeneo, la casa ossessiva dei VNV viene sacrificata alla linearità estetica, il genio artistico della band belga è infinito. Da loro nasce il fenomeno poi portato al successo da tante band vecchie e nuove come Nitzer Ebb, Spetsnaz e chi più ne ha più ne metta, ma i Front 242 sono un esempio irripetibile di genio, professionalità, creatività. Saliamo sulla Punto presa a noleggio, il primo giorno di M'Era Luna è finito, le orecchie sono ancora piene dei suoni uditi, ma su tutti i Front 242; combinazione, anche l'anno prima un belga è stato il re di chiusura del primo giorno, sua maestà Suicide Commando...
Sveglia di buon'ora, l'hangar in apertura offre subito una chicca, dobbiamo esserci: ci sono gli IRFAN. Il palco è riempito dalla statica presenza dei sei bulgari, solo Vladislava Todorova è in piedi per cantare, ma già dal primo brano l'ipnosi arcaica di una delle più grandi eredità dei Dead Can Dance è emotivamente a livelli altissimi. L'hangar è vuoto, ma solo all'inizio, e come per gli Ordo Rosarius il pubblico tedesco dopo un paio di brani degli Irfan comincia incuriosito a stipare l'hangar; non sarà mai pieno come per le band che seguiranno, però la musica ha di nuovo trionfato, la qualità premia, e ne facciano cara lezione nel futuro gli organizzatori del festival, quest'anno meno danzereccio e con una scaletta decisamente coraggiosa per il pubblico previsto. Quanto misticismo tribale evocano Vladislava e Kalin, lei eterea come un angelo pagano, lui cavernoso come un bulgaro può esserlo: il cocktail di magie sonore balcaniche e medio-orientali spruzzato di nordica morte tragica è un volo ad ali aperte verso limbi infiniti, mortali e divini come solo gli Arcana possono essere, mentre la balalaika impreziosisce le sete che tessono il resto degli strumenti. Le campane campionate, sempre su toni luttuosi, si mescolano nel computo generale, scandendo la tragedia della voce di Vladislava; Kalin suona un tamburo dipinto, molto simile al bodran irlandese ma suonato con le mani. Alla fine dei 20 miseri minuti concessi loro, un brano scritto in collaborazione non molto chiara con i Dead Can Dance: il misticismo ottiene qui il livello più alto, la musica penetra chi ascolta, non per ballare ma per far muovere il corpo, ed alla fine è danza! Non si può desistere dall'ondeggiare seguendo le armonie vocali maschili e femminili, sofismi e paganismi sonori portano ad una trance collettiva inevitabile, e vorrei nel breve rivedere questi grandi interpreti in un concerto totale, non in una fugace presenza.
Il risveglio dagli Irfan è dolce, i DIN (A) TOD hanno gusto, giovani ed agguerriti nella loro piccola formazione a tre. Sven suona la sua chitarra in stile Xymox, Claudia e Felix ai synth creano il corpo elettronico di questa band berlinese dalle giuste ambizioni nello scenario electro-goth europeo. Poco materiale all'attivo ma già presenti in molti concerti e in due festival estivi importanti, infatti oltre ad Hildesheim la settimana prima presenziavano ad Utrecht. Peccato per i rimbombi soliti dell'hangar sui toni bassi, non ha mai reso l'acustica nel cupo della location coperta; il concerto è però piacevole, la voce di Sven chiara nell'integrarsi con le sonorità ora darkwave ora più goth classiche proposte. Ottimo il mix di contaminazioni, la voce ricorda a tratti Hussey e il futuro può veramente sorridere a questi figli del Clan di Ronny, magari come novelli figli illegittimi del nostro Bergamini, poiché il rimando ai Kirlian Camera è d'obbligo pur senza scadere nel ritrarre; anche per loro poco tempo per mettersi in gioco, ma la traccia che lasciano è buona.
Oggi la scaletta è più leggera, quindi dopo questi due concerti d'apertura ci ritagliamo tempo per scattare foto alle persone tra stereotipi goth e personali interpretazioni di look spesso piacevoli, comunque mai scadenti nel ridicolo: il popolo goth ha gusto anche se deve uscire da una tenda inzuppata dalla rugiada e truccarsi per terra, ed invidio certi cyber che riescono in condizioni da campo profughi ad essere perfetti!! Spazio per lo shopping di vestiti e CD poi si torna al lavoro: il main stage è pronto per accogliere i SALTATIO MORTIS, e pronte sono anche migliaia di persone. Il mito di questa folk-metal band teutonica è sempre più acceso, davvero tanti fans li acclamano. È una musica che mi lascia alquanto esitante ma che sa arruffianarsi l'ascolto, e lo spettacolo offerto è delizioso. Otto celti-teutoni sul palco infervorano la platea tra riff di chitarra e batteria metal arricchiti da ghironde, corni e cornamuse: il look è da clan, i Corvus Corax sono di altro spessore, però la nicchia che i Saltatio occupano è meritata. Sin dall'inizio si palesa il lungo ascolto dei più famosi Corvus Corax: il folk iniziale gira in quella direzione, la voce mi lascia tentennante durante tutta la sua esibizione per il forte sapore pop teutonico, ma sono comunque in casa loro, e lì hanno tutte le ragioni di esistere. Schizofrenici ed eclettici, a volte la musica perde la genuina e folcloristica paganità a scapito dell'influenza metal, il senso di clan è fortissimo ma lontano dalla più radicale interpretazione del genere di band tipo i Dunkelschoen. Il concerto ha un'ampia durata: l'organizzazione, conscia della popolarità locale dei Saltatio Mortis, concede loro un'ora intera, nella quale balli folk su musiche più pagane e momenti metal si alternano dando appagamento ai presenti; forse il live con più partecipanti, l'hangar risuona dei Combichrist ma Andy LaPlegua non vince il duello a distanza con gli otto bardi teutonici. Bellissimi i costumi, simili nella loro foggia pre-medioevale, mentre le danze sono servite per chi le vuole eseguire.
Dopo la band tedesca arriva la mia seconda delusione personale del festival, gli APOPTYGMA BERZERK, e non è un caso siano 'figliocci' dei VNV Nation, tanto bravi in studio come poco incisivi dal vivo. Inizio con una versione electro di Carmina Burana, il suono con gli APB è ottimo dalla prima song. In lontananza le ultime canzoni dei Combichrist in un hangar che mi dicono stipato sopra ogni possibilità, ma il parco del main stage è anch'esso un oceano umano: gli Apoptygma deboli dall'inizio, poco incisivi, molto look (però Brian Molko viene prima di Groth...); il suono mi sorprende su toni al limite del nu-metal intervallato dal loro classico stile electro-dance senza però una logica artistica, così "Unicorn" si perde in mezzo a "Shine On" e ad altro. Che siano eclettici ci sta, ma li ho trovati poco personali, e si evince dal vivo che le loro cose migliori le hanno date in studio, spesso sui remix (manco a dirlo in combutta coi VNV).
Deluso mi incammino, è ora di tornare nell'hangar: quello che doveva essere un normale concerto si sta per rivelare la grande sorpresa del festival, gli HOCICO stanno per coniugare l'arte alla loro musica; ero pronto per ballare sulle note di una delle migliori realtà harsh mondiali, mi sono ritrovato testimone di un evento di teatro e musica al limite del plausibile. Pronti in attesa di Erk e Racso, vediamo arrivare invece sul palco tre stregoni dalle lunghe piume e dalla testa di lupo incastonata sul copricapo: i colori dipinti sul corpo evocano sacerdoti maya, gli Hocico sono messicani e vogliono rivendicarlo in questo modo. Uno stregone suona un tamburo percuotendolo fortemente, in sottofondo cominciano i suoni di Racso, esce anche Erk: i cugini sono in scena ma con loro c'è anche la cultura antica che si portano appresso, sangue e guerra, mito e divino, demoni e arcaiche paure sono in teatro, e la voce è al servizio di questa tribale performance di elettronica futurista ed antica ritualità. Siamo tutti increduli ed eccitati, chi l'avrebbe detto? "Memorias Atrás" vive di uno dei più spettacolari contrasti che l'harsh abbia mai offerto: complimenti ai cugini, un regalo inatteso. La morte cruda presenzia sul palco insinuandosi tra una folla in preda al ballo ed allo stupore: tutta la prima parte è la proposizione di "Memorias Atrás", uno dei dischi che lascerà fortemente il segno nel 2008, ed Erk non esagera sul cantato tipico harsh, mentre Rasco mantiene basso il battito dando una piacevolezza di suono che tante band electro dovrebbero emulare. Nei momenti più lenti ed 'hell' della musica tornano in scena i guerrieri sacerdoti: è ora del rito, è ora del sangue, un grande piatto d'ottone contiene il sacrificio, Erk si inchina e la morte di nuovo abbraccia arcaico e moderno in un solo rito; il piatto contiene molto sangue, i sacerdoti lo versano sul corpo di Erk, il sacrificio è compiuto, lacrime e disperazione nella ritualità... lacrime non dimenticate, "Forgotten Tears" è la consacrazione di questo live indimenticabile. Poi di nuovo brani del recente passato, il sangue intride Erk, il fumo e le luci rosse lo avvolgono: ora è una sagoma, salta come un indemoniato, canta come un ossesso, i guerrieri danzano in vortici primitivi, la morte danza con gli Hocico ed è cattiva, niente goticismo romantico ma crudezza pura. Erk è un Dio votivo, i sacerdoti lo consacrano a divinità di trapasso, il pubblico è il popolo che con la sua danza consacra il sacrificio: il matrimonio tra arcaico e moderno è compiuto, il sangue lo suggella, usciamo mesti dall'hangar ancora increduli per quanto appena visto. Nella press area i commenti sono emotivi, nessuno si aspettava un dono del genere: credo di poter eleggere gli Hocico come la miglior band 2008 del M'Era Luna, leggermente sopra al mito che di lì a poco avrò davanti.
Il mito ha un nome: Carl McCoy. Sul palco il festival è chiuso dalla leggenda FIELDS OF THE NEPHILIM, un filo sottile lega la storia maya e le credenze sui Nifelei tra loro, lo noto solo ora che sto scrivendo... Le prime file del main stage sono un tripudio di magliette dei Fields, dei Sisters Of Mercy, Bauhaus etc.; tante persone (me compreso) aspettano questo momento da anni, defezioni ed uscite di scena per molte persone hanno negato la gioia di vedere questa goth-cult-band... Il fumo è nebbia, le luci lampi accecanti; la band inizia a suonare, e dopo l'intro di riff (mi aspettavo però ben altra intro...) tra surreali luci viola esce sua maestà McCoy: niente pastrano nero come storicamente ci ha abituati, bensì un cowboy vestito di jeans con le lenti azzurre, una voce che nasce nelle caverne della gola ed esce con una potenza incredibile per lo spettro acustico su toni bassi che costantemente cavalca. Suono perfetto, prime tracce più goth-metal con arpeggi e riff eterni delle sei corde; il basso però non muore, anzi, si intrufola prepotente tra le chitarre e la voce di McCoy con padronanza e ritmica, e mentre la batteria presenzia nell'omogeneo suono dei Nephilim come un treno di percussioni che si fa strada tra steppe e praterie, Carl cavalca la propria leggenda conscio di essere un patrimonio del suono goth mondiale. Verso la metà della performance la virata: con un brano del primo periodo il sound dei FOTN arriva al pubblico dark con prepotente forza, la consacrazione è manifesta, l'eterno duello tra McCoy ed Eldritch è indiscutibilmente vinto dal primo per k.o.; una carriera fatta di musica e di poche polemiche, di dischi vari e non ripetitivi, di leggenda conquistata sul campo e non tra patinate pagine di riviste dark. La scaletta continua su questi suoni, "Moonchild" è un tripudio tra musica, voce e pubblico entusiasta: gli anni '80 del goth vivono nel 2008 con orgoglio e classe, Carl fu secondo me l'erede di Ian Atsbury e con forza ha scritto tra le pagine più belle ed oscure del post-punk; ora come non mai lo trovo così simile per voce e carisma al cantante dei Cult, più cupo ma altrettanto roco. "Dawnrazor" è l'apoteosi di un concerto che tanti quarantenni come me sognavano, impresso nella memoria di quella domenica che ha regalato tante emozioni: dark e metallari escono così dal M'Era Luna abbracciati, perché i Fields Of The Nephilim sono il suono che in tanti anni di carriera ha abbracciato in maniera dignitosa e forte questi due generi che quasi sempre divergono.
Arrivederci, dunque, al prossimo M'Era Luna: il mio bilancio è estremamente positivo, qualche problema tecnico in più del solito ma affrontato con professionalità mai inficiante. Nei prossimi giorni un po' di relax: sono state due giornate di musica e lavoro (credetemi, per me e Valentina è stato lavoro!), ma ci attende l'Harz con il suo relax prima della full-immersion berlinese...