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20-10-2009

NERORCHESTRA FESTIVAL

ALLERSEELEN + Horologium + Teatro Satanico + Wuornos Aileen + Tears Of Othila

Cover NERORCHESTRA FESTIVAL

Bologna, Kindergarten, 12/09/2009

di Nicola Tenani

foto Valentina Bonisoli

Setlist TEARS OF OTHILA:

Tales In The Mist
The Magic Of Trees
Gift Of Life
Of Everlasting Memory
Nordik Hymn
The Night Of A New Dawn
May My Ode Travel In The Cart Of Night
Folletto
Up Our Banners

Setlist WUORNOS AILEEN:

The Plagues Country
H1N1
Hesycheia
We Are The Man Of The Sorrow
Feel... The Noise Of Death
The Preceptor Of Suicide
Kids On Fire
Black Ice

Setlist TEATRO SATANICO:

Intro
King Beast
Altar Knotto
Magia Quale Scienza Dell'Io
Confesso Tutto!

Setlist HOROLOGIUM:

Intro
Untitled
Untitled
Untitled
Dionysus Vs Apollo
The Death Of George
Untitled
Elegy For The Mediocre, Lesson To The Worthy

Setlist ALLERSEELEN:

Feuersalamander
Hörst Du Die Toten Singen
In Vino Veritas
Mit Der Sonne
Sonne Golthi-Ade
Ein Ganzes Jahr
Die Sehnsucht Aber Bleibt
Mit Fester Hand
Edelweiss
Diese Nähe Ist Gefahr
Wir Träumten Voneinander
Die Berge Werden Leer Sein
Flamme
Löwin
Gläserne Kugel
Jede Welle
Wir Rufen Deine Wölfe
Ob Auch Mein Herz So Funkelt

A distanza di soli tre mesi torna il Nerorchestra, minifestival bolognese che consegna il palcoscenico ad artisti prevalentemente di area neofolk, ambient ed industriale. Nonostante il non certo numeroso pubblico della prima edizione, gli organizzatori credono in questa formula e ripropongono la ricetta tra artisti italiani ed un headliner di caratura europea; se fu :Of The Wand And The Moon: in giugno, ora tocca ad Allerseelen, rodato protagonista del panorama industrial-folk diviso tra il suo percorso individuale e le collaborazioni con vari artisti. Eppure la soglia del centinaio di persone nemmeno questa volta è stata travolta, sintomo che questa affluenza è la depressiva media italiana. Un po' ha influito la contemporaneità a Torino di Rotersand e VNV Nation (non è poco...), un po' la stagione vera e propria solo agli inizi. Piacevole la scaletta offerta: subito i TEARS OF OTHILA, band dell'entroterra ligure che da subito abbiamo accolto positivamente sulle nostre pagine (rileggetevi l'interessante accoppiata recensione/intervista da noi pubblicata per saperne di più). Line-up piena e nutrita (6 musicisti sullo stage), quindi in grado di sviluppare la propria musica su ampi fronti sonori iniziando dall'intro, "Tales In The Mist", che nasce lieve tra accordi di violino in cui lente le campane tubolari crescono insieme alle note nate dall'archetto, per poi confluire nell'orchestrazione globale grazie a flauto, chitarra, voci. Voci ottime sia sul fronte maschile, grazie ai colori autunnali dei toni di Marco Gardella, sia femminile nelle fiammate dell'ultima arrivata Marta Defranchi. Se è comunque giusto in un ensemble ben registrato estendere il proprio giudizio su tutti i componenti, un singolo plauso va speso per le mille note composte ed armonizzate da Noemi Ferrari, eclettica nel destreggiarsi tra flauto, cembalo, bastone della pioggia ecc. Proprio questo 'strumento' è l'indice di atmosfera di velata apocalisse nel brano "Gift Of Life", che a dispetto del nome, tra soffici ed eterei fluttui e marziali battiti di tumper risulta tra i momenti più suggestivi della serata. Le due voci si esaltano in un altro momento, "Of Everlasting Memory", più gotica rispetto ad altri brani: un folk che ricorda vaghi sapori Darkwood ed Ostara, non oppressivo ma ispirato in modo romantico da temi di matrice pagana, rivolti alla Natura in quanto Madre generosa, ma anche collerica e possente. Crudo come la vicenda della serial killer a cui ispirano il proprio nome, il duo astigiano WUORNOS AILEEN si manifesta brutale per tutta la durata della performance. Il palco è una barriera tra cui stendere demarcante lo spazio tra il pubblico e la posizione delle macchine, dietro le quali Tiziana e Massimo aggiungono alla barriera metafisica quella sonora, erigendo una parete di suoni su cui scontrarsi senza possibilità di andare oltre. Noise di matrice digitale, e degli otto pezzi presentati ben la metà sono anteprime del prossimo lavoro in pubblicazione. Fra questi colpisce per le trame che guardano atmosfere ambientali "We Are The Man Of The Sorrow", elaborata nei suoi loop da mantra post-atomico, sulla linea di "Hesycheia", generato per formulare 'trance' ed essere vissuto nelle tensioni nervose di gangli al limite del cedimento. Concerto in ogni caso iniziato tardi: considerando le cinque band previste, già l'uscita dei TEATRO SATANICO è arrivata abbondantemente oltre la mezzanotte, e ciò inficia un po' tutta la serata. Il turno di Devis e dei tre componenti che lo affiancano è subito indice di ciò che è il senso dell'arte musicale dello stesso leader: teatro, provocazione, ma anche riflessione per chi tra le righe può coglierla, chi non si limita allo slogan ma scruta al di là della forma. Industriale performance di crudeltà e genio, palese già dall'intro dedicata a Mike Buongiorno: lentamente lo show di Devis prende immagine verso lidi cagionevoli della psiche, dove l'ascoltatore può solo subire, lasciandosi 'piacevolmente' violentare dal suono e dalla voce elaborata. Distorto il violino, campionature in sintonia con la videografica, attrattivo Devis come Lucifero lo è nelle tradizioni popolari, sentenzioso nella sua performance. Non mi limito alla descrizione dei brani, ho vissuto il live come un concept, e la cosa strana è che questo non lo era, provenendo i brani da varie uscite con l'aggiunta di canzoni di prossima pubblicazione. Eppure la sensazione di un dialogo continuo voce-musica-effetti-video-pubblico componeva una simbiosi generale che non poteva essere solamente vista, ma vissuta. Grosso lavoro alle macchine per produrre suoni sporcabili (e sporcati) o, in contrasto filosofico, improvvisamente puri. Seppur lontani (ma non poi così tanto), il parallelismo tra il Teatro Satanico di ora ed i Madre Del Vizio dei primi album l'ho trovato tangibile, così come l'influenza Coil. Nel finale la sensazione di schizofrenia che prevale sull'ordine mentale, caos di pensieri confusi che distruggono la materia per alterare la strada del raziocinio, è stata la sintesi dovuta; ciò che si crea può ed a volte DEVE essere distrutto per trovare altre forme, altri spazi, altri motivi di esistere... Notte inoltrata, eppure ancora due band devono esibirsi... Difficile rimanere concentrati dopo una serie di input così estesa, eppure non si può cedere alla stanchezza fisica: è il turno di HOROLOGIUM, progetto del polacco Grzegorz Siedlecky che, tramite l'ausilio di Monica ed Ivan (la prima al tambourine, il secondo alle percussioni) ed alla guest L:CH:M de Les Champe Magnetique, propone la sua ora di martial-folk del più puro. Niente preamboli: subito lo spoken-word di Greg è il biglietto da visita al suo show, supportato da campionature ed atmosfere post-belliche e dalle percussioni marziali di Ivan. Greg ha in passato collaborato con altri nomi del panorama marziale o dark-folk, tra cui spiccano Troy Southgate degli H.E.R.R. o lo split di quest'anno con Oda Relicta. Suoni bellici e di importante forza evocativa, brutali come immagini in bianco e nero di vecchi reportage di guerra, tra silenzi scanditi da suoni rarefatti e disagio memore: questa è l'impronta di Horologium. Interessanti nella scaletta i due brani centrali senza titolo, anche se per il computo generale del suono maggiori spazi verso ampie variazioni del tema (magari spostando in parte il baricentro verso suoni sempre marziali e percussivi, ma di matrice più medieval o sinfonica) avrebbero giovato. Su tutti penso alla bellezza anche estetica del suono di Triarii, che rafforzerebbe la caratura della musica di Greg. Verso il finale l'arrivo di Marcel e Dimo Dimov (entrambi provenienti dal progetto Svarrogh, di cui Dimo è l'deatore) allarga lo spettro sonoro vivacizzandolo; ritroveremo Dimo e la sua eccezionale tecnica percussiva in seguito al fianco di Allerseelen. Stimolante la performance di Greg, e di certo in futuro ritroveremo Horologium tra le fila europee del neofolk militare, genere che sta perdendo carisma per l'eccessiva monotonia di troppi artisti, ma che nelle mani del musicista polacco, tramite proprio quella forza di ricerca sinfonica che può esprimere, ha la capacità di non perdersi tra i plotoni di aree più o meno discutibilmente 'brown'. Abbiamo tutti sonno, sono le tre trascorse, molta gente è andata via, ma ALLERSEELEN ha diritto al suo momento: ecco la situazione finale di un festival su cui non voglio trarre giudizi affrettati, ma che in questo caso è stato mal gestito. Allerseelen avrebbe dovuto trovare spazio nella parte centrale della serata, oppure la stessa (se si voleva mantenere la medesima sequenza) avrebbe dovuto avere un inizio anticipato: cinque band e relativi soundcheck significano tempi lunghi da gestire. Comunque Gerhard Hallstatt, coadiuvato da Marcel P. al basso e Dimo Dimov alle percussioni, sale sul palco, e nonostante le palpebre cadenti, la mia curiosità mi spinge verso l'ultimo sforzo. Che poi non è tale: ho scoperto un Allerseelen diverso da ciò che mi aspettavo, fra basi campionate ben presenti, eppure la velocità sui tamburi di Dimo e l'ottima tecnica di Marcel alle quattro corde hanno reso al pubblico superstite un suono strano all'acchito. Il contesto esula dal neofolk industriale a cui siamo abituati, e nel complesso tutta la performance vive di una strana atmosfera London-punk dei primi anni '80, un salto indietro verso l'epoca in cui questi suoni erano condotti dai Crisis, che per chiudere il cerchio diventarono i padri putativi del folk apocalittico nelle ben note vesti future... Così "Edelweiss", l'album più saccheggiato (essendo anche l'ultimo dell'act austriaco), ha avuto luci diverse rispetto alle tendenze industrial presenti tra i propri solchi, ma nessuna versione preclude l'altra. Una veste insolita che, grazie alla forte energia dei tre sullo stage, ha avuto il merito di catalizzare l'attenzione di chi è rimasto sotto il palco fino alla fine, e nel momento in cui Gerhard attaccava con la nuova "Ob Auch Mein Herz So Funkelt" eravamo BEN sei presenze... Tra i momenti di maggior impatto figurano "Mit Der Sonne", complici le sottili atmosfere orientali, o "Sonne Golthi-Ade" nella doppia voce di Marcel, forse una delle tracce più belle di "Edelweiss", stupenda anche dal vivo. Un altro momento ha colpito per la tecnica di Dimo alle percussioni: "Mit Fester Hand", grazie al bulgaro, ha avuto la stessa atmosfera percussiva e cupa dei primi lavori dei New order, su tutti ovviamente "Movement", indimenticabile sorta di post-punk che stava lentamente evolvendosi verso imprecisati sviluppi, ma che nel momento era ancora figlia di Curtis e delle sue ossessioni. Grazie proprio a Dimov la suggestione di Joy Division/New Order è stata poderosa, ovviamente non senza malinconie rievocative. È tardi ed il mini-festival bolognese è all'epilogo: che dire, se non le solite rammaricate considerazioni tra le assenze di gran parte del pubblico (fashion) bolognese e dei soliti problemi di orario? Spero che di ciò gli organizzatori tengano conto per un'eventuale edizione futura del Nerorchestra: sarebbe un peccato perdere un gruppo di artisti che difficilmente trovano la luce dei riflettori in casa nostra. Un settore, il neofolk, in declino, ma a torto: l'Europa è ricca di artisti che dell'arte oscura, ideologica ed evocativa fanno la loro materia creativa. Noi che esuliamo da tendenze momentanee diamo sempre spazio a tutti i colori del nero gotico, ed il neofolk (e tutti i sottogeneri ad esso affini) è uno dei rami più forti su cui nascono i frutti oscuri.