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14-11-2018
SEADRAKE
Qualcosa di durevole
di Roberto Alessandro Filippozzi
Non è certo un caso se col titolo di questa intervista abbiamo voluto parafrasare proprio il brano "Something Durable" ("qualcosa di durevole", appunto), poiché i Seadrake sono qui per restare e per lasciare un segno tangibile nella scena synthpop. Vero e proprio supergruppo nato per mano dello svedese Rickard Gunnarsson (Statemachine, Lowe), del sudafricano Hilton Theissen (Akanoid, Dark Millennium) e del tedesco Mathias Türk (Minerve), il nuovo act ha rilasciato l'album d'esordio "Isola" la scorsa primavera dopo una serie di fortunati singoli apripista, colpendo nel segno grazie alla qualità di canzoni eccellenti, esaltate dalla grande esperienza di ognuno dei protagonisti di questa stimolante avventura musicale. La stima per gli ottimi progetti dai quali provengono i tre musicisti ha subito acceso la nostra curiosità, suscitando in noi la volontà di approfondire in sede d'intervista con la band al completo i risvolti di un esordio di gran classe e prestigio che è la degna prosecuzione delle importanti esperienze pregresse di cui sopra...
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Iniziamo dalla domanda più scontata: come vi siete incontrati ed avete deciso di formare una nuova band? E come avete pianificato il lavoro, vivendo in città differenti?
Mathias: "Nel 2012, dopo dieci anni di duro lavoro coi Minerve, ho deciso di lasciare la band. Ero bruciato e volevo solamente lasciarmi alle spalle il circo chiamato 'music business'. Alcuni mesi dopo ho avuto l'idea di iniziare un nuovo progetto con diversi cantanti differenti. Quando Hilton ha consegnato il suo contributo, Olaf Wollschläger (il produttore dell'album) ed io abbiamo ritenuto che egli fosse l'uomo giusto per incaricarsi della parte principale del cantato, dal momento che erano in progetto delle esibizioni dal vivo. Tenere dei concerti è stata anche la ragione per contattare Rickard, ed alcune settimane dopo era già coinvolto nella produzione, contribuendo con eccellenti idee creative. Questo è stato più o meno il modo in cui sono nati i Seadrake. E sì, ovviamente viviamo in Paesi differenti, ma ci incontriamo di volta in volta per provare e per comporre brani, e per lo più lavoriamo ognuno separatamente, inviando poi le idee agli altri. Di questi tempi è piuttosto facile lavorare così."
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Altra domanda pressoché inevitabile: cosa vi ha spinti a scegliere il nome Seadrake e quali concetti si legano ad esso?
Hilton: "Dovevamo cambiare il nome da quello del progetto iniziale e sceglierne uno per una vera e propria band. Sentivo che due estremi uniti in maniera simbiotica avrebbero generato un buon nome per il gruppo. E se guardi da più vicino, esso rappresenta le caratteristiche dei membri ed il concept della band in un bel modo."
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Siete tutti musicisti esperti, quindi appare appropriato definirvi un 'supergruppo' synthpop: vi sentite effettivamente tali?
Rickard: "Mi piace l'idea di un supergruppo, suona molto 70s. Nella musica elettronica, e specialmente nell'EBM, i supergruppi sono molto comuni, mentre penso non lo siano affatto quando si parla di synthpop. Un termine come 'supergruppo' per noi significa che abbiamo tutti dei background differenti e una lunga esperienza, ma un terreno comune... il synthpop!"
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Come erano soliti fare i grossi nomi qualche decade fa, avete pubblicato ben quattro singoli prima di rilasciare l'album, introducendo cinque brani che sono poi finiti su "Isola": cosa vi ha spinti a questo tipo di pianificazione?
Rickard: "Ci è sembrata semplicemente la cosa giusta da fare. Mi piacerebbe tuttavia poter dire che c'era uno schema o una pianificazione dietro a ciò, dal momento che ha chiaramente funzionato. "Isola" ha infatti raggiunto il primo posto nelle German Alternative Charts molto velocemente."
"La parola "Isola" suona meravigliosamente alle mie orecchie, amo la lingua italiana! Proprio il fatto che suoni più vicina ad 'isolation' rispetto all'inglese l'ha resa perfetta per il titolo dell'album. Perché anche se siamo in tre nei Seadrake, siamo in qualche modo isolati nelle nostre rispettive città..."
(Rickard Gunnarsson)
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È giunto il momento di addentrarci nell'album: per iniziare, cosa vi ha spinti ad optare per una parola italiana nella scelta del titolo? Forse per via di come essa richiami l'isolamento ("isolation", appunto) molto più di quanto faccia l'inglese isle/island?
Rickard: "La parola "Isola" suona meravigliosamente alle mie orecchie, amo la lingua italiana! È anche il nome di una città di finzione in una serie di vecchi romanzi di crimine che adoro. Molto noir, molto dark. Proprio il fatto che suoni più vicina ad 'isolation' rispetto all'inglese l'ha resa perfetta per il titolo dell'album. Perché anche se siamo in tre nei Seadrake, siamo in qualche modo isolati nelle nostre rispettive città."
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Parlando dei testi, sembra che essi trattino sentimenti e problemi personali che la maggior parte di noi sperimenta nella vita e nelle relazioni, e soprattutto le liriche di "Room 316" sembrano essere particolarmente intime...
Hilton: "Hai ragione. Non trattiamo di sci-fi e di temi mistici, quanto piuttosto di episodi della vita che ispirano ottime liriche, principalmente per lasciar spazio alle interpretazioni personali e per essere in grado di identificarsi con esse. Ovviamente ci sono alcune eccezioni, come ad esempio per "Die In Temptation", in cui parlo della mia mancanza di comprensione per i più bassi livelli di umana motivazione e di comportamento sociale. "Room 316" è in effetti molto personale, ma anche fittizia dal mio punto di vista, poiché è la storia di qualcun altro."
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Venendo ai contenuti musicali, senza dubbio synthpop è la definizione che meglio vi rappresenta, ma ritengo che il vostro ampio background vi abbia garantito la possibilità di andare ben oltre i tipici confini del genere...
Mathias: "I Seadrake per me sono come un foglio in bianco che consente a tutti noi di sperimentare con differenti suoni, canzoni e direzioni musicali, infischiandocene di cosa ne pensi il mondo là fuori. Penso che la forza trainante dei Seadrake sia il nostro desiderio di essere un po' 'diversi' da chiunque altro, e probabilmente è per questo che non ci interessano granché le aspettative."
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Per produrre "Isola" avete lavorato col rinomato producer Olaf Wollschläger, uno dei migliori quando si parla di synthpop: come è stato lavorare con lui?
Hilton: "È un brillante produttore ed è divenuto per noi un buon amico. Abbiamo avuto i nostri problemi all'inizio, come due galli in un pollaio, ma presto la cosa è sfociata nella cooperazione ed ho provato gioia nel lavorare assieme."
"I Seadrake per me sono come un foglio in bianco che consente a tutti noi di sperimentare con differenti suoni, canzoni e direzioni musicali, infischiandocene di cosa ne pensi il mondo là fuori. Penso che la forza trainante dei Seadrake sia il nostro desiderio di essere un po' 'diversi' da chiunque altro, e probabilmente è per questo che non ci interessano granché le aspettative..."
(Mathias Türk)
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Una delle pieghe più interessanti del vostro sound è senza dubbio un certo piglio synth-rock per il quale "Daydream" mi pare un pezzo emblematico, dal momento che apporta un'energia che mancava al synthpop dai tempi dell'eccelso "Wrath" degli Iris: c'è un'effettiva 'anima rock' in voi?
Hilton: "Colpevole! Questa è stata la prima traccia sulla quale ho cantato, e quindi il mio esame per entrare nella band. Ho apprezzato lo stile trascinante e l'affinità al rock del tema principale."
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Un'altro spunto interessante è il crescendo sinfonico di "Room 316": la musica classica ha effettivamente avuto qualche impatto sulla vostra scrittura?
Mathias: "Non ho mai imparato a suonare uno strumento quand'ero piccolo e non so leggere uno spartito, quindi per me lavorare a nuove idee o a delle demo è come andare per tentativi, ed è per questo che di volta in volta necessito dell'aiuto di altri musicisti. Questa è la ragione per cui ho iniziato a lavorare a quest'album col produttore Olaf Wollschläger, ed è stata una sua idea quella di aggiungere quel meraviglioso arrangiamento sinfonico alla versione demo di "Room 316". Come fan degli arrangiamenti magniloquenti e delle colonne sonore, sono rimasto stupefatto quando ho sentito la versione finale per la prima volta: avevo la pelle d'oca ed ero assolutamente senza parole."
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Un altro brano che mi ha davvero impressionato è "Soulsharer", con quell'assolo di chitarra in grado di regalare emozioni anche al rocker più consumato: cosa vi ha spinti ad optare per una soluzione così particolare e rara in un genere come il synthpop?
Hilton: "Olaf e Mathias avevano suggerito un finale forte ed emozionale. Dal momento che Olaf ha sfruttato le mie abilità di chitarrista in maniera decisamente inflazionaria, il risultato è stato un assolo, che in generale è stato un tabù per anni in certe aree della musica rock e pop."
Rickard: "Non sono un grande fan degli assoli di chitarra, ma questo mi ha ricordato quello di Mick Ronson su "Moonage Daydream" di David Bowie. Superbo!"
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Anche la collaborazione con Frank Spinath per "Lower Than This" si è rivelata molto interessante: come si è sviluppata?
Mathias: "Come detto avevo quest'idea di iniziare un nuovo progetto con diversi cantanti, ed uno dei miei preferiti era (ed è ancora) Frank M. Spinath. In passato avevamo lavorato molto bene ad una versione speciale di un pezzo dei Minerve ("In Love With An Open End"), ed è per questo che lui è stato il primo a cui ho chiesto di cantare su una delle mie nuove demo. Più tardi Hilton ha avuto l'ottima idea di aggiungere qualche parte vocale alla canzone, e penso che l'intreccio fra la sua voce e quella di Frank abbiano spinto il pezzo ad un livello completamente nuovo."
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Tornando ai singoli, credo che "Something Durable" sia IL brano per introdurre al meglio il vostro sound ai potenziali nuovi ascoltatori, perfetto da ogni punto di vista: ne trarrete un videoclip?
Hilton: "Ad essere onesti, non ci saremmo mai aspettati che questa canzone diventasse così popolare. Quando abbiamo registrato l'album, non abbiamo mai ragionato per categorie tipo "questo pezzo sarà una grande hit" o "questa canzone deve diventare un singolo". Non c'è alcuna storia particolare dietro a questo brano, l'abbiamo registrato senza alcuna aspettativa e più tardi abbiamo deciso di pubblicarlo come antipasto all'album... ed è stata la nostra fantastica fanbase a spingerlo nelle classifiche. Spero che presto potremo trarne anche un grande videoclip!"
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Di norma sono scettico circa l'uso del falsetto, che può suonare piuttosto ridicolo quando non è padroneggiato al meglio, ma devo dire che il suo utilizzo su "Get It On" ha funzionato benissimo, denotando grande versatilità vocale...
Hilton: "A dire il vero l'idea originaria viene da una versione demo di un pezzo degli Akanoid che era più grezzo e semplice, ma che a livello sonoro aveva quel gap che divide un appoggio vocale brutale dai cantati piuttosto squilibrati, il che funzionava bene. Quando abbiamo prodotto la nuova versione, abbiamo preso solo pochissimi elementi dell'idea originaria e vi abbiamo aggiunto una nuova parte, mantenendo lo stile in falsetto."
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Ora che l'album è uscito da alcuni mesi ed è stato presentato anche dal vivo, siete già al lavoro sul suo successore?
Rickard: "Come musicista o artista, sei sempre coinvolto nel processo di scrivere nuove canzoni. Abbiamo un paio di assi nella manica, ma al momento siamo focalizzati nel portare "Isola" sui palchi e sul fare un grande spettacolo dal vivo."
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Rickard, tu hai una grande tradizione nel synthpop, avendo fatto parte di formazioni superlative come Statemachine prima e Lowe poi: possiamo dire che questo tipo di sound è parte del tuo DNA? E per quanto attiene ai suddetti gruppi, esiste una qualche possibilità di vederli tornare in attività?
Rickard: "Da neonato sono stato allattato a disco-music, poi ho virato verso musica più elettronica e synthpop appena ho cominciato a camminare, quindi direi che in qualche modo ce l'ho nel sangue. Sono ancora amico coi ragazzi dei Lowe e degli Statemachine, ed in effetti abbiamo parlato di fare qualcosa di nuovo assieme: il tempo ci darà il responso."
"Non ho mai pienamente compreso questo fenomeno delle strade separate fra il synthpop ed il pop mainstream che non si incontrano mai, nonostante vi siano giovani artisti famosi là fuori che nutrono ancora e ancora il mainstream con forti temi synthpop, alterando leggermente il concept e venendo spinti dalle major..."
(Hilton Theissen)
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Mathias, tu sei stato parte integrante dell'ottima synthpop band Minerve: cosa ricordi di tutti quegli anni spesi assieme e quali lezioni hai tratto?
Mathias: "Come detto, ho lasciato i Minerve perché ero bruciato, ed inoltre sentivo che avevamo raggiunto tutti i traguardi che ci eravamo prefissati. Guarda, eravamo in tour con tre dei nostri più grandi eroi del synthpop: And One, Camouflage e De/Vision... il livello successivo sarebbero stati i Depeche Mode, ma credo che si siano scordati di chiedercelo, oppure non trovavano più il nostro numero di cellulare (risate generali, nda)! Comunque sia, ho trascorso dieci fantastici anni coi Minerve ed ho imparato che tutto è possibile quando credi in te stesso, quando credi veramente nella tua band e - naturalmente - quando sei disposto a lavorare duramente."
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Hilton, devo dirti che mi ha sorpreso non poco apprendere che, parallelamente agli Akanoid, sei anche il chitarrista della dark/prog metal band Dark Millennium: c'è un'anima metal in te?
Hilton: "Mi hai beccato! I Dark Millennium sono stati la mia prima band, mi piaceva la pura libertà all'interno di questo tipo di musica di comporre qualsiasi cosa verso cui il mio cuore ed il mio istinto mi guidassero, senza confini. Ci siamo riformati nel 2016 e siamo in procinto di realizzare un altro album. Amo essere un cantante pop e, dal verso opposto, un chitarrista metal: sono aspetti differenti della mia anima, tutto questo sono io."
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Per concludere, permettetemi una considerazione: trovo piuttosto strano che un gruppo fondamentale come i Depeche Mode raggiunga il suo maggior successo commerciale in concomitanza con la pubblicazione dei suoi lavori peggiori (specialmente gli ultimi due). Nonostante un simile traino, pare non esserci alcuno spazio per il synthpop nei grandi media, a prescindere dal potenziale commerciale dei gruppi del settore. Perché, secondo voi, il synthpop rimane un genere 'alternativo' per gente che per lo più viene dalla scena dark/goth, e perché il successo planetario dei Depeche Mode non sospinge l'intero movimento?
Hilton: "Non ho mai pienamente compreso questo fenomeno delle strade separate fra il synthpop ed il pop mainstream che non si incontrano mai, nonostante vi siano giovani artisti famosi là fuori che nutrono ancora e ancora il mainstream con forti temi synthpop, alterando leggermente il concept e venendo spinti dalle major. Non penso a noi come a dei tipici esempi per la scena, dal momento che seguiamo i nostri cuori musicali ovunque essi ci possano portare."
Rickard: "I Depeche Mode sono una grande live band, e penso sia per questo che hanno conservato tutti i loro fans così a lungo. Puoi ancora trovare una o due gemme negli ultimi album, ma niente di più a mio parere. Ci sono molti ottimi nuovi gruppi synthpop in giro, ma al momento nessuno che raggiunga le classifiche. Suppongo però che tutti preferiamo vedere questo genere come un'alternativa, una sottocultura, piuttosto che vederlo sfruttato, giusto?"
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