Tratto dall'edizione online del Secolo XIX:
Obama e l’incubo Vietnam:
«Non diminuirò le truppe»
08 ottobre 2009
| Alessandra Baldini
A otto anni dall’inizio della guerra in Afghanistan, con la conta dei morti americani in aumento e i talebani a 70 chilometri da Kabul, un Barack Obama sempre più tormentato cerca nei libri una risposta ai suoi dubbi. Sul comodino ha “Lessons in Disaster”, un saggio sul fiasco del Vietnam che con l’Afghanistan sembra avere sempre più cose in comune.
Contrario al ritiro, ma ancora incerto sull’invio di rinforzi, il presidente ha ricevuto ieri dal Pentagono la richiesta di escalation del generale Stanley McChrystal, mentre i repubblicani gli fanno fretta e un nuovo sondaggio mostra un calo dei consensi tra gli americani per un conflitto costato finora la vita a 1.445 soldati (fra cui 869 statunitensi), e che ha visto nel 2009 il suo anno più nero. Come se non bastasse, i pacifisti ieri sono tornati a manifestare davanti alla Casa Bianca. Normale per George W. Bush, non per quello che doveva essere il presidente del “Change”, della mano tesa, della pace nel mondo.
Obama ha convocato di nuovo il suo consiglio di guerra: «Non vuole che il dibattito sia ridotto a un aut aut: o via dal Paese, o dentro ma raddoppiando lo sforzo», ha indicato la Casa Bianca. Intanto alla Nato il segretario generale dell’Alleanza Anders Fogh Rasmussen ha detto che «è prematuro discutere di numeri» dopo aver acquisito la richiesta McChrystal che verrà discussa a fine ottobre alla runione dei ministri della Difesa a Bratislava: fino a 40 mila uomini in più per combattere Al Qaida e schiacciare l’insurrezione talebana.
Per Obama qualunque decisione è gravida di rischi. In un sondaggio Quinnipiac una solida maggioranza crede che la guerra in Afghanistan valga il sangue versato solo se l’obiettivo è la distruzione di Al Qaida: gli americani continuano a essere incerti sull’invio di rinforzi e tre su dieci temono un altro Vietnam.
Molti democratici - tra gli altri la speaker della Camera Nancy Pelosi e il capo della commissione difesa del Senato Carl Levin - hanno intimato al presidente di non mandare altre truppe, mentre i repubblicani hanno chiesto l’escalation, con forza e senza indugi. Nel corso dell’incontro con una trentina di congressisti, Obama ha intanto fatto sapere che di sicuro «non diminuirà le truppe», e che ciò a cui punta è evitare nuovi attacchi all’America. I talebani sembrano dello stesso parere e ieri, su un sito che usano spesso, hanno fatto sapere che non hanno «in programma di danneggiare i Paesi del mondo, tra cui quelli in Europa». «Il nostro obiettivo - dicono - è l’indipendenza del Paese e la creazione di uno Stato islamico».
Ma il ministro degli Esteri pakistano, Shah Mahmood Qureshi, ha detto che abbandonare l’Afganistan ai talebani sarebbe «un colpo mortale» anche per il suo Paese.
Il pendolo della decisione oscilla, ma si sta spostando sempre di più verso un accoglimento parziale della richiesta McChrystal: anche il ministro della Difesa Robert Gates, finora indeciso, sembrerebbe propendere per una misurata escalation (più truppe, anche se si spera di farle arrivare soprattutto da altri Paesi). Il presidente prenderà una decisione domani, o la prossima settimana.
Dietro le scelte, c’è un minimo comune denominatore: evitare il fiasco del Vietnam. Due libri - “Lessons in Disaster” di Gordon Goldstein e “A Better War” di Lewis Sorley - sono diventati la lettura d’obbligo per l’amministrazione, incorniciando i poli del dibattito su quella che sarà una delle decisioni più importanti della presidenza di Obama.
Ma il presidente del 'change' non aveva fatto la campagna elettorale basandosi sul ritiro delle truppe da quelle zone, dico io? Ah già, è il 'change' in salsa americana, evidentemente...
CHANGE: YOU CAN BELIEVE IN!!!
Scommetto che i 40mila (dico, QUARANTAMILA!!!) in più richiesti partiranno mooooooolto presto...
"Si chiama sogno americano perchè bisogna essere addormentati, per crederci" (George Carlin)