Logo DarkRoom Magazine
Darkroom List menu Room101 Room102 Room103 Room104 Room105 Room106 Room107 Room108 Room109 Reception
SYNTHPOP, FUTURE-POP, TRIP-HOP, CHILLOUT E TUTTA L'ELETTRONICA PIÙ ACCESSIBILE E MELODICA
HARSH-ELECTRO, EBM, ELECTRO-INDUSTRIAL, IDM E TUTTA L'ELETTRONICA PIÙ ABRASIVA E DISTORTA
DARKWAVE, GOTHIC, DEATHROCK, POST-PUNK E AFFINI
INDUSTRIAL, AMBIENT, POWER ELECTRONICS E TUTTE LE SONORITÀ PIÙ NERE ED OPPRIMENTI
NEOFOLK, NEOCLASSICAL, MEDIEVAL, ETHEREAL E TUTTE LE SONORITÀ PIÙ DELICATE E TRADIZIONALI
TUTTO IL METAL PIÙ GOTICO ED ALTERNATIVO CHE PUÒ INTERESSARE ANCHE IL PUBBLICO 'DARK'
TUTTE LE SONORITÀ PIÙ DIFFICILI DA CLASSIFICARE O MENO RICONDUCIBILI ALLA MUSICA OSCURA
LA STANZA CHE DEDICA LA DOVUTA ATTENZIONE ALLE REALTÀ NOSTRANE, AFFERMATE E/O EMERGENTI
LA STANZA CHE DEDICA SPAZIO ALLE BAND ANCORA SENZA CONTRATTO DISCOGRAFICO

Mailing-List:

Aggiornamenti su pubblicazioni e attività della rivista


 

Cerca nel sito



Room 107

23-11-2010

SUMMER DARKNESS FESTIVAL

Il terzo giorno: la conclusione

Cover SUMMER DARKNESS FESTIVAL

Utrecht, 13-14-15/08/2010

di Nicola Tenani

foto Valentina Bonisoli

La terza giornata al Summer Darkness inizia con un forte vento atlantico, che non riesce però a spazzare via la tristezza che si porta sempre con sé la fine di un festival, di un popolo che tornerà a quella opprimente quotidianità legata ad una società sempre più estranea per chi, sensibile all'arte, vorrebbe un'esistenza più vivibile legata ad altri valori. Non è questa la sede idonea per analisi sociologiche, ma sento che tanti tra voi condividono il malessere del 'tornare alla realtà'. Un vento forte che carezza i polder muovendovi onde di un verde che cangia insieme alle folate, creando continue tavolozze di una campagna olandese oramai parte integrante dei miei ricordi di questa settimana, ed insieme a questo vento robusto ci rechiamo verso l'altro Tivoli, il De Helling, nella parte più a sud di Utrecht. Non lo facciamo usando i mezzi pubblici che ci porterebbero direttamente verso questa location, ma ci arriviamo percorrendo ancora una volta il canale, malinconici, passando accanto al Duomo dove abbiamo vissuto la prima giornata, guardando di nuovo le variopinte vetrine verso il Tivoli Oudegrath per poi camminare ancora oltre, altri due chilometri per vivere ancora Utrecht nella sua zona più pittoresca e silente, arrivando al De Helling giusto in tempo per omaggiare la prima band della giornata, i SEVENTH HARMONIC. Questo Tivoli è il 'fratello' minore, ma solo nella capienza: impianti, acustica ed organizzazione della logistica in tutti gli aspetti ci offrono un pomeriggio di magnifico neofolk e non solo. Era il 1999 quando iniziava il cammino di Ann-Mari Thim, incantevole anima eterea degli Arcana (laddove Peter Bjärgö ne è l'anima più profonda), insieme a Caroline Jago, cresciuta accanto a Tony Wakeford nei Sol Invictus. È stato immediato essere catturato dalla sofficità dell'elettronica neoclassica unita a sonorità di goth intimo e strutturato, simile ai Chandeen od a qualche soffio di sorellanza con Qntal od Helium Vola. L'assetto sul palco con l'arpa di Frédérique Henrottin (già al fianco della fascinosa Keltia e di Louisa John-Krol), le percussioni di Lesley Malone e la chitarra di Caroline, e tutto è felicemente condizionato dalla bellissima voce mezzosopranile di Ann-Mari. La sorpresa è che ci tendono un suono più gotico di quello atteso, ricco e simile in parte a quello di Bacio Di Tosca (che con rammarico perderemo, vista la contemporanea esibizione in un'altra location). Delicati i Seventh Harmonic, questa è la percezione immediata che rimane in me anche a posteriori: un morbido tessuto damascato dai toni tenui su cui i suoni si spalmano anche quando sono percussivi, ed il morbido canto di lady Thim si insinua omogeneo tra gli strumenti, accogliendone le richieste di rimanere dimesso ma ispirato. Il pubblico approva, e tra le nebbie della smoking-machine a pieno regime i Seventh Harmonic della prima parte dello show appaiono come spettri romantici, estremamente romantici. "Litha", "Winter" o "Eostre" sono i tre momenti più lirici e rappresentativi del loro turno sul palco (i brani inediti di oggi sono l'anteprima di ciò che dovrebbe, sottolineo dovrebbe, il nuovo lavoro dopo la firma con Out Of Line), l'arpa sostiene la parte più corposa del suono in cui la chitarra entra e rimane con apparente 'cordoglio', questo è il termine più corretto. Caroline si concede il lusso di usare l'archetto del violino per carezzare le sei corde metalliche, imitando Jónsi dei Sigur Rós, ed in questo gesto c'è la piena intenzione di rispettare un mood costruito su equilibri davvero delicati, anche quando l'ispirazione vocale di Ann-Mari la avvicina a Tarja Turunen (siamo sempre nella Scandinavia di due regine del Nord gotico) ed alla sua recente ricerca di impiego della voce meno potente, ma più 'studiata' su fronti gotici quasi cimiteriali; ottimo show davvero per i Seventh Harmonic. Poi la verve di Gerard Hallstatt: è il turno di ALLERSEELEN, dopo che nell'attesa ci ha intrattenuti il sapiente interludio in consolle di dj competenti ed in grado di soddisfare i nostri esigenti palati. Death In June od Orchestre Noir sono i momenti di maggior conoscenza, ma le perle sono state nei miei ricordi Albireon, Argine, Storm Of Capricorn: insomma, finalmente un dj-set neofolk raffinato e non scontato. Gerard e Marcel (ormai inseparabile spalla dell'austriaco al basso, sul palco ed in studio) sono ciò che ci si attende da un live targato Allerseelen (ricordate il nostro reportage al Nerorchestra di Bologna, con la coppia accompagnata da Dimo 'Svarrogh' Dimov ed un collaboratore del giro di Sonne Hagal)... quello che non ti aspetti è Axel Menz degli Hekate! Ho adorato ogni singolo album della band germanica anche grazie alle percussioni di Axel, sorpresa e gioia sarà il godere dell'estro e della bellezza marziale della variopinta ritmica del tedesco. Allerseelen ha costruito una splendida carriera tra collaborazioni ed amicizie. Così scorrono "Feuersalamander", "Kamerad" o "Edelweiss", title-track di un ottimo album uscito nel momento in cui i peggiori maligni davano Allerseelen come act in declino; le edelweiss (stelle alpine) si colgono solo sulle vette più alte, ed è questa la migliore delle beffarde metafore che lasciamo gli scettici, così fino al finale di "Hörst Du Die Totem" gli applausi si riversano calorosi sul trio (ammettendo comunque che il suono di Gerard richiederebbe la presenza sul palco, per arrivare completo come su disco, di una band più numerosa, poiché le basi campionate non gli rendono l'onore che merita). Una nota a margine la vorrei spendere per Marcel, che nel difficile ruolo di musicista usa il basso in un ambito dove non sempre ha lo spazio che le quattro corde meritano, e parte dei recenti successi di Allerseelen come di Svarrogh sono dovuti proprio ai suoni di questo strumento. Due progetti inquadrabili su sponde che avvicinano il post-punk, una sorta di deja-vù che onora le idee dei Crisis, e tutti sapete come il tempo ha sorriso a quel trio, inutile spendere altre parole... Nel proseguire il diario del nostro ferragosto olandese, ora dovrei cedere la narrazione ad una persona meno coinvolta di me: il palco è in mano agli IANVA, e per tutto ciò che culturalmente, musicalmente ed umanamente per me rappresenta Mercy, rischio di essere completamente privo di spirito critico; d'altronde ancor una volta il Maggiore Renzi è presente con il suo bagaglio di umana ed elegiaca carica... Un'ora senza imperfezioni tra le mani di sette capaci musicisti, che citerò singolarmente per avere creato insieme al loro leader un'alchemica sinfonia, l'aver saputo rendere suono le idee di Mercy, che insieme alla 'sciantosa' Stefania D'Alterio ancora una volta cesella uno spettacolo senza - credetemi - nessuna sbavatura vocale o strumentale: la bellezza delle canzoni nemmeno dal vivo è in discussione, funziona tutto. La chitarra acustica di Fabio Carfagna e quella classica di Fabio Gremo, alle quattro corde basse Azoth ed al piano Giuseppe Spanò, poi Davide La Rosa tra fisarmonica, percussioni e chitarra dodici corde, mentre Francesco (sempre del 'casato' La Rosa) è protagonista alla batteria. Poi la tromba, la terza voce degli Ianva, quella possessione apocalittica che trema, cresce, spera e muore tra le parole di Mercy o Stefania, quel dialogo di brividi sostenuti all'ottone da Gianluca Virdis: questo serve per il suono di Ianva, il palpito che formano i liguri. Quindi, in questa soluzione, Stefania può essere regina nel prosaico ruolo di rendere teatro la sua voce: l'amore dichiarato per Gabriella Ferri è condivisibile, ma sarà che io nasco a Ferrara, sarà la sua voce estremamente enfatica ed aperta, saranno i lunghi ricci rossi contrapposti all'abito nero, ma su quel palco io ci vedo Milva, un figlia legittima della mia pantera di Goro, mia nell'essere concittadina, patrimonio europeo nell'essere diva, e Stefania quei selciati li percorre senza timore. Se lo studio aiuta nel dare conformazione alla voce, il palco è un'arena in cui noi siamo 'matati' dalla sua voce. Mercy, il personaggio figlio della sua Terra e dei suoi padri vocali: il trasporto emotivo e rassegnato di Tenco e l'indifferenza nel parlare di guerra o puttane di De Andrè sono nel suo DNA; quegli occhi socchiusi di chi nei secoli ha visto il Mondo, scoprendolo ed osservandolo, non conquistandolo, sono fessure in cui cercare, come in un peep-show, l'umana sofferenza, gioia (rara), disillusione, e chi riesce a scrutare nelle fessure degli occhi di Mercy, ascoltandolo, qualcosa capta, nel cuore, quasi sempre. Le parole degli Ianva le conoscete, sono quelle di "Dov'Eri Tu Quel Giorno?", "Bora" o "Pasionaria", tra i vari temi proposti. Da "Italia: Ultimo Atto", unite e miscelate alle passioni di "Disobbedisco", con protagoniste "Muri D'Assenzio", "Di Nuovo In Armi" o "La Ballata Dell'Ardito", giusto per capire anche solo in parte cosa si viveva sotto lo stage del Tivoli. Se leggete queste righe come un atto d'amore, non cadete in errore: se mi giudicate fanatico lo accetto, ma se non conoscete Mercy e la sua arte, tacete; noi siamo arditi anche nell'amare la musica, anche quando è cantata in italiano, e che italiano. Meritata arriva la cena, e con una passeggiata di ritorno lungo il canale con tanto di ponte levatoio, che per la prima volta davanti ad i miei occhi si alza permettendo il transito di una house-boat, prima del gran finale eccoci in un ristorante greco, di nuovo nei pressi del Tivoli 'maggiore'. Tocca a Peter Spilles ed i PROJECT PITCHFORK, che sono indubbiamente ora uno degli spettacoli migliori che l'Europa goth possa offrire. Nessuna delusione: Peter Spilles ha sicuramente venduto l'anima al diavolo, sogno proibito della gran parte del suo pubblico, e nella sua ora di show, di vero show, la sua diventa una vittoria personale, in ciò aiutato dagli amici-colleghi di sempre Dirk Scheuber e Jürgen Jansen alle due postazioni elettroniche, più una batteria a supportare i battiti altissimi, mentre la chitarra oramai è sempre più rara negli spettacoli dei tedeschi. Un concerto dei Project Pitchfork ha un valore fondamentale: il piacere del cammino a ritroso per rivivere una carriera costellata di successi, ma continuamente rivista nella chiave del momento, quindi è il mood di "Continuum Ride" a dettare i ritmi ed è uno dei momenti migliori dell'album, "Endless Infinity", a costringerci ad abbandonare completamente ogni remora per ballare, in continuazione, senza sosta, stregati da quel satiro moderno che è Spilles oggi. In questa chiave anche "God Wrote" (era il 1997 di "¡Chakra : Red!"), o ancora più a ritroso fino al 1994 di "Carrion", da quel capolavoro ora ascrivibile ai classici dell'elettronica scura che è "Io". Si balla con il classico "Timekiller", o col recente - e a torto discusso - "Inferno", qui rappresentato degnamente da "Souls In Ice", giusto per dare una minima idea di quale setlist di lusso i quattro hanno proposto nel Tivoli. Per le nostre gambe sarebbe stato preferibile incontrare Spilles il primo giorno, quando eravamo più freschi, ma da buon pifferaio magico della dark-dance odierna, cancellata la patina di stanchezza, il Nostro ha offerto spazio solo al divertimento, cosa che ha agevolato il distacco dal Festival per noi qui chiuso. Rimane il mistero di come le foto siano riuscite non mosse, ma oramai ci stiamo specializzando nello 'shoot' durante il ballo: questione di pratica e di impostazioni! Utrecht tra un po' si coricherà, è notte: torniamo nella nostra zona, che per la toponomastica locale ha scelto per le vie nomi di principesse... La nostra è Beatrix, per noi italiani Beatrice d'Olanda, e ci sentiamo principi anche noi, tristi ma regali, nel cuore il sangue non è blu ma nemmeno rosso, semmai è il sangue nero di un popolo che sa divertirsi, riunirsi, essere Europa fino in fondo; noi siamo Europa perché la nostra cultura musicale è anche storica, artistica, letteraria, e nasce lontana nelle ere in quelle zone dove ancor'oggi, in quanto popolo, amiamo riunirci rispettando noi e chi ci ospita. Arrivederci al prossimo festival o singolo evento, è sempre un arrivederci tra noi...